15 Settembre 2020

Lettera alla Corte Costituzionale contro l’utero in affitto


La sentenza n. 12193/2019 delle Sezioni Unite della Cassazione ha offerto consistenza giuridica a quello che noi donne della Rete Italiana contro l’Utero in Affitto sosteniamo da sempre: e cioè che il primo diritto, interesse e bisogno di ognuna-o che nasce è non essere strappato alla madre che l’ha partorito, oltre che sapere che è proprio da lei che è venuto al mondo.

Alcuni mesi prima della sentenza ci eravamo infatti rivolte a Sindaco, Giunta e Consiglio Comunale di Milano perché decidessero di interrompere le trascrizioni in automatico – che si andavano ormai consolidando come consuetudine – degli atti di nascita esteri di bambine e bambini nati da utero in affitto. Atti di nascita in cui la verità sulle origini delle creature veniva sostituita e “surrogata” dalla pretesa di essere indicati come padri o madri in assenza di legame genetico, sulla base della semplice “intenzione” – nonché del fatto di avere pagato per questo supposto “diritto” – perfezionando in questo modo la cancellazione della madre prevista dai contratti di surrogazione.

Abbiamo chiesto che nell’atto di nascita venisse indicato solo il genitore biologico, suggerendo eventualmente l’istituto dell’adozione in casi particolari da parte del-della partner del padre come strada possibile per garantire la continuità affettiva. Siamo state ascoltate. Il Comune di Milano ha bloccato le trascrizioni ben prima della sentenza 12193/2019 che ha indicato con chiarezza questa strada.

Abbiamo perciò appreso con stupore dell’ordinanza n. 8325 del 2020 con cui, a pochi mesi da quella sentenza, la stessa Cassazione (prima sezione) riapre nuovamente la questione. L’ordinanza propone la questione di costituzionalità dell’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004 (l’articolo di legge che vieta e sanziona il ricorso a utero in affitto in Italia), degli artt. 18 del d.p.r. n. 396 del 2000 e 64, comma 1, lett. g, e della legge n. 218 del 1995 nella parte in cui non consentono che si riconosca l’inserimento del cosiddetto “genitore d’intenzione” nell’atto di stato civile di un minore nato da utero in affitto. Secondo l’ordinanza, la sentenza delle Sezioni Unite si porrebbe in contrasto insanabile con il parere espresso in materia dalla Grande Camera della Corte Europea.

Non è nostro compito né intenzione addentrarci nei formalismi di questioni giuridiche di cui ci pare di poter rilevare la pretestuosità. La sostanza è nel reiterato tentativo di far rientrare dalla finestra ciò che credevamo definitivamente cacciato dalla porta: il riconoscimento di genitorialità piena per chi genitore non è sulla base di un supposto “diritto” economicamente acquisito, là dove i soldi possono tutto, anche violare la dignità di una donna con ogni evidenza in stato di bisogno (di più d’una, considerando anche le fornitrici di ovociti) e pregiudicare il destino di una creatura a cui viene inflitta una ferita così profonda e insanabile: dove sarebbe l’amore di genitore, quando è il proprio desiderio a contare più di tutto e tutti?

Consentire la trascrizione integrale all’anagrafe degli atti di nascita realizzati all’estero per le nate e i nati da utero in affitto (per non parlare dell’eventualità di giudicare incostituzionale il divieto di surrogazione espresso dalla legge 40) spalancherebbe le porte a una pratica di cui la stessa Corte Costituzionale ha ribadito l’illegittimità, affermando che “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane” (sentenza 272/2017).

Esprimiamo pertanto l’auspicio che la Corte Costituzionale voglia attenersi a quanto già limpidamente espresso e ribadito e voglia respingere in toto quanto proposto dall’ordinanza 8325/2020 della Cassazione.


Rete femminista Italiana contro l’Utero in Affitto, 10 settembre 2020


(www.libreriadelledonne.it, 15 settembre 2010)

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