Abbiamo spesso pubblicato in questo sito articoli di Franca Fortunato presi dal Quotidiano della Calabria, a cui ha collaborato per molti anni interpretando la realtà locale con i guadagni del femminismo. Da qualche mese il Quotidiano della Calabria si è fuso con quelli della Campania e della Basilicata, diventando il Quotidiano del Sud, e anche il direttore è cambiato. Con questa lettera Franca Fortunato rilancia con il nuovo giovane direttore la scommessa sulla lingua.
8 Settembre 2014
Quotidiano del Sud

Lettera di Franca Fortunato al direttore del Quotidiano del Sud

di Franca Fortunato

 

PUBBLICATA IL 27.08.2014

 

Gentile direttore, scrivo a lei per parlare anche alle giornaliste, ai giornalisti, ai commentatori e commentatrici di questo che considero anche il mio giornale, dell’urgenza e della necessità di essere tutti e tutte protagonisti e protagoniste di quel cambio di civiltà che stiamo attraversando e che le donne – come ci raccontano le cronache dei tanti omicidi di donne da parte dei “loro” uomini –  stanno pagando a caro prezzo.

Mi riferisco al passaggio di civiltà nei rapporti uomo-donna, che è alla base dell’odio maschile verso le donne, che viene fuori quando, per una ragione qualsiasi, queste non stanno più dentro il quadro in cui lui le ha messe e pretende che rimangano:  quadro disegnato da un misto di oscure aspettative e di ovvie comodità. In passato, le nostre madri e antenate – come scrive Luisa Muraro – hanno speso tesori di pazienza e d’intelligenza per corrispondere alle esigenze maschili senza diventare sceme o pazze. Non tutte ci sono riuscite. Oggi molte, la grande maggioranza, non ci stanno più. Si sentono libere e intendono comportarsi di conseguenza. Risultato: un crescendo di violenza maschile e di uccisioni di donne. Nello stesso giorno in cui veniva uccisa a Monasterace Mary Cirillo, a Roma un’altra donna veniva decapitata da un uomo; nel giorno del suo funerale, un’altra veniva ferita dal marito a Lamezia Terme. In questo momento storico, l’ostacolo maggiore a questo cambio di civiltà sono gli uomini, la loro arretratezza mentale e culturale  nell’ostinarsi ad ignorare e vedere la novità storica della libertà femminile, per farne occasione di discorso pubblico, a partire da sé, di un ripensamento radicale – come stanno facendo alcuni uomini, pochi – di quella cultura della “virilità” e “mascolinità” in cui si radica la violenza maschile contro le donne. Finché gli uomini non vedranno la libertà femminile come un’occasione di libertà anche per sé e non una minaccia, le violenze contro le donne e le uccisioni non si fermeranno. Il cambiamento delle donne è irreversibile e, grazie a loro, anche il mondo è cambiato. La violenza maschile sulle donne non è più accettata, crea indignazione e proteste l’uccisione di mogli, amanti, figlie, fidanzate. Basta pensare che solo nel 1981 è stato cancellato dal codice penale il “delitto d’onore”, in base a cui negli anni cinquanta un uomo di un piccolo paese del Vibonese, tornato dalla guerra, ha decapitato la moglie perché aveva avuto una relazione con un altro, e nessun tribunale l’ha giudicato colpevole. La popolazione, anzi, lo ha scelto per trent’anni come proprio sindaco.

Il mondo è cambiato, la Calabria è cambiata, le donne sono cambiate, ma gli uomini non ancora, non tutti, non abbastanza. Ne è prova la lingua, il linguaggio, anche quello dei giornali. Un linguaggio vecchio, nato dentro il patriarcato che escludeva le donne dalla vita pubblica e perciò nei suoi vocabolari non ha il femminile di nomi quali sindaco, ministro, prefetto, questore, direttore, rettore, avvocato, architetto, vescovo, ecc. e nella sua grammatica conserva regole di concordanza che assegnano al maschile la predominanza sul femminile. Quale immagine di uomo trasmettiamo ai giovani maschi quando usiamo termini maschili per parlare di donne che hanno fatto carriera? O quando nelle concordanze seguiamo la regola stabilita nel 1676  da Dominique Bouhours secondo cui «quando due generi si incontrano, prevale il più nobile»? È facile capire qual è il genere “più nobile”. Quale immagine di uomo e di donna trasmettiamo ai giovani maschi quando noi donne, per dirci, facciamo degli uomini la nostra misura?

Il linguaggio non è mai innocente. Il simbolico è un’arma politica potente, perché arriva alle coscienze e costruisce quell’immaginario dei rapporti tra i sessi che si radica  in quelle convinzioni e comportamenti maschili, duri da sradicare e da cui deriva la violenza assassina. Cancellare l’essere donna dalla lingua, dal linguaggio, fare prevalere il maschile non è perciò un puro esercizio linguistico, ma ne va della nostra vita di donne e uomini, del nostro stare insieme nel riconoscimento o meno della differenza dell’altra/o. Gentile direttore, cambiare la lingua, il linguaggio, è responsabilità primaria dei giornalisti e delle giornaliste, è uno dei modi per contribuire a sradicare la violenza maschile sulle donne e porre fine alle loro uccisioni.

(Quotidiano del Sud- 27 agosto 2014)

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