"Salma Ahmed Elamassie è una nostra amica, una giovane donna che vive a Gaza e insegna all'università Al Azhar - in questi giorni terribili ci ha fatto pervenire un messaggio che trovate qui tradotto. Un messaggio chiaro, inequivocabile anche per chi blatera di 'pace', in Italia e in Europa - dignità e speranza, ancora una volta. Carla Pecis, UDI Catania"
17 Luglio 2014

Lettera di Salma Ahmed Elamassie

Gaza City, 10 luglio 2014

Cari amici,

 

da qualche giorno provo a scrivervi. Ma ogni volta mi sento come chi ha un handicap e non riesce nemmeno a prendere la penna per cominciare a scrivere.

Stavolta non voglio più parlare delle distruzioni, non voglio più dare cifre. Trovo che sia inumano dare il numero dei morti e dei feriti. Un essere umano è una persona, non un numero.

Ormai non voglio confrontare le nostre distruzioni con le loro, mai più.

Non voglio dire che gli israeliani hanno ucciso donne e bambini, per non parlare degli uomini, come se fosse legale uccidere degli uomini: la Palestina ha bisogno dei suoi uomini, delle sue donne, dei suoi bambini e dei suoi alberi.

Non voglio ripetere la narrazione sui salari, sulla mancanza di elettricità e di carburanti o di tutto quello di cui si ha bisogno per vivere una vita onorevole, perché noi abbiamo bisogno di vivere in dignità e sono anni ed anni che viviamo invece tra tutte le difficoltà.

Può sorprendervi forse il fatto che questa volta io vi dica che mi sento INDIFFERENTE: non ho più la paura nel mio cuore né lacrime agli occhi, nemmeno odio – io non odio nessuno.

Oggi vi voglio parlare della pace, del diritto all’esistenza e alla resistenza.

Durante la prima Intifada le pietre erano l’arma utilizzata contro i crimini dell’esercito israeliano, e infatti l’Intifada prese il nome di “guerra delle pietre”.

Ecco l’equazione: pietre nelle mani dei palestinesi contro le armi militari degli israeliani e sempre lo stesso risultato: terroristi palestinesi (o arabi).

Da anni le armi israeliane si sviluppano, ma non è lo stesso per le ‘armi’ della resistenza palestinese.

Nel 2006 tutto il mondo ha deciso di punire i palestinesi che avevano votato per questi ‘terroristi’.

Israele ha pensato che era giunto il momento per eliminare Hamas, ma dopo tutto quello a cui abbiamo assistito nel corso delle offensive israeliane, credo che sia successo proprio il contrario. Hamas ha costruito dei tunnel per rifornire il popolo di Gaza di tutto quello che non ha, è normale, perché “la necessità è la madre dell’invenzione”.

Qui comincia la storia: una pietra non può fermare un razzo o un missile. Razzi e missili devono essere affrontati con razzi. Non si può restare con le mani in mano e aspettare che gli israeliani ci dicano: «Vi restituiamo i vostri territori perché siete pacifisti».

Nella mia testimonianza allora ho deciso di parlarvi di mio cugino, ucciso dai missili israeliani.

Stavolta vi parlo di qualcuno che conosco bene. Mio cugino è un resistente, non ho paura di dirlo, anzi, ne sono fiera. Lui ha scelto la sua strada, la resistenza, si è reso conto che occorreva sacrificare cuore, vita, sangue per liberare la Palestina.

L’anno scorso in occasione del primo giorno della festa dell’Aid Aladha mi ha fatto visita, con suo padre.

Ha riso, ha giocato con i miei figli e mi ha promesso di tornare quest’anno per mangiare dei buoni dolci.

La festa sarà tra circa tre settimane e mio cugino non potrà venirmi a trovare.

Il mese scorso aveva postato una sua foto su facebook: era con degli amici in un ristorante, davanti ai piatti vuoti e intento a pensare. Molti hanno commentato che questi ragazzi vogliono ridere, divertirsi e vivere, vivere in pace. C’è stato uno che ha commentato: «So a cosa pensi: ‘chi ha mangiato quei panini?’», un altro rispondeva: «Ehi amico, vuoi forse un panino anche tu, vero?» e lui rispondeva con ironia: «Ma ragazzi, non capite? Penso alla mia futura fidanzata, sogno che sia con me qui al ristorante, i panini avranno un gusto più delizioso e l’ambiente sarà più gradevole». Il giorno prima del suo assassinio ha aggiunto una foto con amici e vicini di casa e diceva: «La coppa del mondo è qui, a Gaza».

Siamo stanchi di tutto questo. Noi amiamo la vita. Non siamo nati con l’odio e l’aggressività nel cuore.

Non ho più paura per i miei figli, non c’è niente di più caro alla Palestina. L’amore per la Palestina ci fa amare la morte per Lei.

Il mio bambino di due anni ogni volta che venivamo bombardati pensava che qualcuno stesse bussando alla porta di casa e ci chiedeva di aprire. Stamattina mi è sembrato che non credesse più a quello che pensava!

Ha ragione, il mio piccolo, nessuno bussa alla porta in modo così aggressivo.

 

Salma Ahmed Elamassie.

 

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