26 Febbraio 2016

L’Europa delle Città Vicine, convegno del 21 febbraio 2016 a Roma

di Franca Fortunato

L’Europa delle Città Vicine è il titolo del convegno che ha visto, domenica 21 febbraio 2016 alla Casa Internazionale delle donne di Roma, circa centoventi donne e uomini, più donne che uomini, provenienti da molte città, misurarsi sulla crisi dell’Europa e sulle prospettive e possibilità, a partire dalle esperienze già in atto, di aprire nuove vie per un’Europa più vicina alle vite, ai bisogni, ai desideri. Un’Europa che oggi presenta due facce, come hanno detto in apertura del convegno Anna Di Salvo, Simonetta Patané e Loredana Aldegheri. E come hanno confermato i contributi delle persone presenti e anche delle assenti, come il lampedusano Giacomo Sferlazzo che ha mandato gli auguri di buon lavoro da parte delle donne e degli uomini di Askavusa di Lampedusa e il curdo Tulip che in un commovente intervento ha portato i saluti delle donne curde.

Da una parte c’è il volto dell’Europa delle istituzioni, del potere politico tecnocratico ed economico, un volto duro, di imposizione del linguaggio del rigore, dell’austerità, del controllo dei debiti e che produce impoverimento, meno diritti, segregazioni, frontiere, muri, che «dimostrano – ha affermato Anna Di Salvo – l’ottusità politica di un occidente europeo che esporta guerra, anche vendendo armi e militarizzando i territori in Sicilia come in Sardegna, a Lampedusa e in tutte le altre isole pelagiche, asseconda i nazionalismi, erige barriere e srotola lungo i confini filo spinato che tanto non potrà arginare i flussi migratori di moltitudini di donne, uomini e bambini in fuga da paesi affamati e devastati che guerre intestine e invasioni terroristiche dell’Isis hanno reso luoghi dove la vita non ha più valore». Dall’altra parte c’è il volto dell’Europa dei luoghi dell’approdo delle e dei migranti dove donne e uomini – continua Anna – danno senso alle politiche dell’accoglienza: Ventimiglia, Calais, Lesbo, Kos e altre isole della Grecia, Lampedusa e tutti gli approdi siciliani, calabresi e pugliesi. Qui l’Europa sembra aver ritrovato la propria anima e i confini e le barriere respingenti si sono configurate in porte e soglie accoglienti simili a quelle delle nostre case. Di quest’altra Europa, poco visibile, fa parte anche «la capacità generativa» di altri modi di fare economia da parte di molte imprese sociali di comunità e di territorio, dove a partire da forze umane – ha sostenuto Loredana Aldegheri della Mag di Verona – relazionali e sociali si adopera per un’Europa con al centro l’economia dei beni comuni, che può riposizionare il mercato.

Di quest’altra Europa fanno parte i luoghi della politica delle donne, le pratiche di cura delle città, dei suoi spazi e dei suoi tempi di cui le Città Vicine sono espressione e che Donatella Franchi ha raccontato a partire dalla pratica creativa che insieme alle/agli abitanti di Bologna ha inventato per ripulire le strade, i muri degradati, scrostati, imbruttiti, intorno all’università. Il racconto di questa «pratica di invenzione» che ha aperto orizzonti e coinvolto molti giovani, Donatella l’ha affidato anche al linguaggio artistico in una mostra fotografica che ha esposto al convegno. La ricerca artistica ha sempre fatto parte delle pratiche delle Città Vicine per raccontare le nostre città, così come hanno fatto artiste/i, intellettuali turchi – ha detto Katia Ricci – in una mostra al Maxxi di Roma su Istanbul, dove raccontano la lotta contro la demolizione del Gezi Park e contro la distruzione di gran parte dei quartieri della città. Dunque esistono i luoghi, le azioni, un’altra politica, un’altra economia – ha aggiunto Stefania Tarantino, sostenuta dall’intervento di Antje Schrupp, giunta appositamente dalla Germania per partecipare al convegno – che hanno trasformato il nostro modo di abitare il pianeta e che sono parte di quella Europa che vogliamo e che già stiamo costruendo con la politica della differenza. Sono queste le «nuove istituzioni» – ricordate da Maria Luisa Gizzio – che Simone Weil considerava necessario inventare per poter rifondare l’Europa, dopo la tragedia della guerra e dei totalitarismi. «Al di sopra delle istituzioni – scrisse la Weil – destinate a tutelare il diritto, le persone, le libertà democratiche, bisogna inventarne altre, destinate a discernere e a eliminare tutto ciò che nella vita contemporanea schiaccia le anime sotto il peso dell’ingiustizia, della menzogna, della bassezza. Bisogna inventarle, perché sono sconosciute, ed è impossibile dubitare che siano indispensabili.» La scommessa oggi è rendere visibili le nuove istituzioni che già esistono, diverse da quelle che sono andate in crisi, aprire un conflitto tra le due anime dell’Europa e questo – come ha affermato Letizia Paolozzi – richiede un lavoro sul simbolico, sul linguaggio in parte esistente, in parte da inventare. La scommessa passa dal pretendere di essere prese sul serio come noi oggi facciamo qui – ha detto Stefania Tarantino – il che vuol dire fare in modo che il pensiero delle donne agisca non solo nei luoghi che conosciamo ma anche fuori e contagi il mondo sociale e mediatico che ci circonda.

In questa Europa che si frantuma e consuma emerge in modo drammatico la questione del potere, ancora largamente in mano agli uomini, e che Maria Concetta Sala ha definito «una tragedia» perché «quando il potere si mette al servizio di se stesso» bisogna sapere che non ci può essere spazio né per la verità, né per la giustizia (che per la Weil non sono di questo mondo) e né per la bellezza (l’unica ad essere di questo mondo) da connettere a una nuova “visione” dell’Europa. Cosa possiamo chiedere alle donne e agli uomini – si è chiesta Maria Concetta Sala – che esercitano il potere? Possiamo aspettarci che possano ridurre in qualche misura il potere? Alla sua risposta negativa, Rosetta Stella ha osservato che se la verità e la giustizia non appartengono a questo mondo, uomini veri e uomini giusti sono di questo mondo, e sono quegli uomini che «danno ascolto al salto che si apre dalla tragedia del potere e che questo salto lo fanno». All’obiezione di molte donne in sala dell’ambiguità del parlare di “uomini” («e le donne?»), Rosetta ha spiegato di voler parlare davvero solo di uomini perché «le donne giuste e le donne vere le conosciamo, invece riconoscere un uomo giusto e un uomo vero è sempre più difficile a questo mondo, tanto più in Europa». Uomini veri e uomini giusti sono forse gli uomini dell’Associazione Maschile Plurale che hanno cambiato il loro rapporto con la logica del potere. Un cambiamento – ha detto uno di loro, Alberto Leiss – che riguarda anche altri uomini come dimostra il fatto che «ci sono sempre più uomini che, anche quando non dicono cose condivisibili, parlano in quanto uomini». Ed è del sesso maschile che ci parlano anche i fatti di Colonia che hanno reso evidente come l’immigrazione è fatta per lo più da corpi di uomini “soli”, il che – secondo Letizia Paolozzi – solleva problemi sull’accoglienza. Forse, si è chiesta, sarebbe il caso di leggere meglio la legge canadese che prevede l’ingresso solo di nuclei familiari «perché la presenza delle donne significa per gli uomini autocontrollo attraverso lo sguardo femminile». E Simonetta De Fazi narra come nel corso delle sue attività dedicate alla questione delle migrazioni le sia stato chiesto di suggerire soluzioni che impegnino gli uomini nei campi profughi, in quanto le donne il da fare se lo trovano da sé.

Una crisi, quella dell’immigrazione, scoppiata – ha detto Loretta Napoleoni, arrivata al convegno alla ripresa del pomeriggio – «solo nel 2015, dopo quelle economiche finanziarie e del debito sovrano, quando improvvisamente abbiamo avuto il flusso di migranti che scappavano non dallo Stato islamico ma dai bombardamenti degli europei e degli americani». E mentre l’Europa dal volto duro si chiude in se stessa, l’altra Europa, quella dell’accoglienza, ne fa occasione di rinascita di tanti borghi abbandonati e spopolati, come in Calabria. Perché c’è chi respinge i rifugiati e chi l’accoglie? Domanda a cui ha risposto Mirella Clausi dicendo che «i posti di approdo sono i posti dell’accoglienza perché non c’è una distanza fisica. Invece quando il corpo non vede quale tragedia immensa stia succedendo, quelli sono i posti in cui c’è il rifiuto. Questo, purtroppo, fa la differenza».

Le immigrazioni che hanno messo in crisi questa Europa, hanno messo a nudo – ha ripreso Giusy Milazzo – le debolezze e le insufficienze di questa Europa economica, hanno però aperto per noi la possibilità, l’occasione, il kairòs, per fare emergere l’Europa che abbiamo cominciato a costruire con la nostra politica della differenza e ricomporre, ricucire, riparare la frammentazione dell’Europa, secondo l’antica tecnica giapponese del kintsugj, a cui Katia Ricci insieme alle Città vicine, alla Merlettaia di Foggia e all’associazione Arteria di Matera, ha dedicato una mostra mail-art che ha esposto al convegno. Sulla strada della costruzione, invenzione e creazione dell’Europa che vogliamo, un lavoro enorme da fare, ma un po’ lo stiamo già facendo, come ha mostrato questo convegno.

(www.libreriadelledonne.it, 25 febbraio 2016)

 

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