16 Dicembre 2020
#VD3

Libertà in tempo di pandemia – Introduzione


di Marina Santini


Introduzione alla Redazione allargata di Via Dogana 3 Libertà in tempo di pandemia, 13 dicembre 2020


Voglio vedere in questo periodo del positivo: la libertà che le donne hanno agito ha portato e porterà a mutamenti sostanziali anche nella gestione della cosa pubblica. La pandemia ha reso evidente quello che in altri tempi in molti potevano fingere di non vedere.

Perfino i media se ne sono accorti: alla fine del primo lockdown la rivista economica Forbes (una per tutte) ha titolato Cosa hanno in comune i paesi con le migliori risposte al Coronavirus? Le donne leader

Invece, negli stati occidentali, dove la pandemia dilaga, abbiamo al potere la concezione patriarcale dell’uomo solo al comando. La risposta del leader maschio – uomo duro – è stata quella di minimizzare o negare la gravità della diffusione del contagio, ostentare sicurezza e fatalismo, da Bolsonaro a Putin, a Trump che, con spavalderia, è riuscito a ridicolizzare il virus. Oppure è stata quella di avere avuto comportamenti contraddittori, passando dall’immunità di gregge ai ripetuti lockdown, come il britannico Johnson. Il prossimo presidente statunitense Biden sembra voglia comportarsi diversamente, come ha già dimostrato durante la campagna elettorale: prendere molto sul serio la situazione. È quello che ha fatto sì che i paesi guidati da donne, molto diversi tra loro per condizioni geo-sociali e culturali, si siano distinti per l’efficacia nel contenere gli impatti del coronavirus.

L’emergenza in cui siamo ha reso ancora più evidente la crisi dell’autorità gerarchica maschile che non funziona più: voce grossa, imposizioni, tentennamenti, passi indietro; mostrare i muscoli o negare l’innegabile, usare un linguaggio bellico o nascondersi dietro il cinismo non ha risolto la pandemia. Nella tragicità della situazione alcuni comportamenti maschili rasentano spesso il ridicolo. 

Nell’agire delle prime ministre, al contrario, sta emergendo un altro tipo di autorità. Quello che il pensiero politico delle donne ha elaborato (con Arendt): un’autorità che si scioglie dall’abbraccio del potere e, come vediamo da queste esperienze, che si coniuga con la libertà.

Mi spiego con esempi tratti dalle cronache di questi giorni.

Se analizziamo i comportamenti delle leadership femminili, pur con posizioni politiche diverse, (l’islandese Katrín Jakobsdóttir e Erna Solberg, norvegese, la finlandese Sanna Marin e Tsai IngWen di Taiwan, la danese Mette Frederiksen e Jacinda Ardern della Nuova Zelanda) troviamo che ci sono modalità simili nella gestione della pandemia. Approcci adeguati alle condizioni dei singoli paesi, ma che hanno in comune la presa d’atto fin dall’inizio che la questione è seria, da non negare né sottovalutare e se occorrono misure restrittive impopolari, contemporaneamente occorre rassicurare la popolazione e farla partecipe dello sforzo che si richiede, instaurando una comunicazione di fiducia. Le restrizioni, se ben spiegate, possono ricevere molto più seguito di norme puramente imposte.

Queste donne hanno agito con autorità e prendendosi la loro libertà, riuscendo a costruire una narrazione che ha coinvolto la popolazione spingendola a collaborare.

Per esempio hanno usato un linguaggio, consapevole dei limiti e delle difficoltà, che trasmettesse calma e sicurezza, molto diverso dal linguaggio urlato e volto alla prevaricazione di certi altri leader politici.

È di qualche giorno fa la cancelliera tedesca Angela Merkel che tocca le emozioni sue e di chi l’ascolta, per chiedere maggior attenzione nell’evitare i contatti in occasione delle festività, ripetendo: «Mi dispiace, sono dispiaciuta nel mio cuore». I video sono pubblicati in rete.

Per trovare una comunicazione empatica e di fiducia, la neozelandese Ardern si è resa disponibile a dirette face-book da casa, in veste non ufficiale. Comprendiamo come con orgoglio abbia dichiarato di aver creato un Team dei cinque milioni.

Un’altra invenzione è stata pensare alle giovani creature non solo come pacchi da tenere a casa o mandare a scuola seguendo l’andamento di grafici e sondaggi. La premier conservatrice norvegese Erna Solberg dedica la sua attenzione anche ai piccoli, partecipando ad apposite conferenze stampa per rispondere a domande e curiosità, per rassicurarli nelle loro paure, aiutarli a superare le ansie e le difficoltà di questo periodo. Spiegazioni chiare e semplici che hanno prodotto benefici sullo stato psichico delle creature, ma anche dei loro genitori.

E l’islandese Sanna Marin? Per raggiungere le generazioni più giovani poco avvezze a leggere i giornali o seguire la televisione si è rivolta a “influencer” sui social media per comunicare con loro.

Con questi gesti di libertà queste leader si sganciano dal potere, agiscono la loro autorità mostrando che è possibile far nascere qualcosa di nuovo: hanno fatto cose che altri non hanno mai fatto. 

Il New York Times che non nomina né l’autorità né il potere, però scrive: «Per le donne potrebbe essere meno costoso in termini politici [operare come hanno operato] perché non devono violare nessuna norma percepita di genere per adottare politiche delicate o conservatrici». In altre parole hanno la consapevolezza che possono agire, nel mondo politico non pensato da loro, la propria autorità unita alla libertà. 

Hanno seguito quello che in quel momento sentivano come necessario, senza sottostare a ciò che è già prestabilito o a vincoli gerarchici. Questo ci può far pensare che agire con libertà possa essere positivo per affrontare anche altre emergenze come quella climatica o ambientale. 

E Jacinda Ardern ce ne fornisce subito una prova. Ai primi di dicembre, legandola alla pandemia, ha fatto approvare dal suo parlamento una dichiarazione di emergenza climatica per intraprendere azioni urgenti al fine di ridurre i gas serra e raggiungere entro il 2030 il 100% di energia proveniente da fonti rinnovabili. Ha detto: «La ripresa economica post COVID-19 rappresenta un’opportunità unica per la generazione di rimodellare il sistema energetico della Nuova Zelanda per renderlo più rinnovabile, più veloce, conveniente e sicuro».

Faccio una citazione, un po’ più lontana nel tempo. Nel 2014, l’ex presidente della Liberia Ellen Johnson Sirleaf si è trovata a guidare il suo paese durante la diffusione del virus ebola: «Non vedo nessuna contraddizione nell’essere empatici e umani ed essere buoni leader. Non è debolezza, è forza». In particolare allora aveva dovuto prendere una decisione molto difficile nei confronti della popolazione, cioè quella di cremare i corpi dei defunti per limitare la diffusione del virus, pratica però non ammessa nella tradizione buddista praticata dalla maggioranza delle persone nel paese. «Queste decisioni devono arrivare da compassione e comprensione per poter guadagnare il supporto del pubblico».

In Italia la situazione mostra aspetti contradditori e domina l’incertezza.

È vero che dopo il primo lockdown qualcosa è cambiato. Quel senso di solidarietà che, pur rimanendo distanti ci faceva sentire vicine, con forme esteriori come i canti dai balconi, ma anche con azioni concrete di aiuto ai più fragili, sembra essersi smarrito. 

In questi mesi molti hanno lavorato per “mettere in sicurezza” i locali, permettere la fruizione di mostre e musei, assistere agli spettacoli, perché la scuola potesse essere di nuovo frequentata senza timore per la salute propria e altrui.

Aperture e chiusure si susseguono: l’economia ha ripreso il primato sulla vita e sulla società.

Ora chi è nel commercio, chi opera nella ristorazione e nel settore alberghiero, nello spettacolo e nella cultura in generale, studenti e insegnanti protestano perché le norme cui devono sottostare, sono poco chiare, decise dall’oggi al domani. La mancanza di cooperazione tra istituzioni sta portando a tanti livelli di opposizione alle norme imposte dal governo a cui si aggiunge la non numerosa ma rumorosa protesta di chi rifiuta ogni regola, in nome di una libertà individuale per niente attenta agli altri e alle altre. 

Prevale ancora, forse per comodo, una concezione gerarchica dell’autorità: o si ubbidisce o si disubbidisce a regole che sono piegate a interessi personali in un gioco perverso che mette a repentaglio la vita.

I rappresentanti delle istituzioni periferiche entrano in contrasto con i poteri centrali. Un mostrare i muscoli che favorisce il diffondersi della sfiducia, l’emergere di singoli interessi, il venir meno della gratitudine per coloro che si stanno ancora spendendo per tutte e tutti noi. Vediamo in questi giorni il presidente della Regione Lombardia, che impone regole rigidissime che poi invita a non rispettare.

I media enfatizzano comportamenti negativi (assembramenti, fughe di massa dalle città, manifestazioni no-mask) che generano in parte della popolazione ansia e paura.

È il racconto però di una parte di realtà. 

Le persone sono in genere più responsabili di quanto si racconti: c’è molta attenzione nel seguire le norme del distanziamento, della sanificazione… per proteggere e proteggersi. Inoltre non è mai smessa in questi mesi l’attività di associazioni di uomini e donne, giovani o meno che alleviano i disagi di chi non ha più lavoro o che comunque fa fatica a sostenersi. Anzi nuove iniziative si aggiungono a quelle già collaudate. Un esempio: recentemente ha preso il via a Milano un progetto già presente in altre città, il Sabato-Salvacibo, contro lo spreco alimentare; raccogliendo il non venduto dai mercati cittadini, si confezionano e distribuiscono pacchi di beni indispensabili a chi per la pandemia non ha più un reddito. Si agisce nell’immediato per venire incontro alle difficoltà di sopravvivenza, ma si mette in circolo anche un’azione virtuosa che va nell’ordine dell’economia circolare e della difesa dell’ambiente.

In altri paesi le leader hanno operato in modo chiaro, perché hanno agito la loro autorità nella relazione concreta, quella che dà misura, ottenendo dalla popolazione adesione e appoggio per debellare il virus.

Da noi vediamo che gran parte della classe dirigente è divisa, più attenta ai giochi di potere e alla facile popolarità guadagnata nelle piazze. 

La Presidente della Corte costituzionale, Marta Cartabia, ha dovuto ricordare che «l’attuazione della Costituzione richiede un impegno corale, con l’attiva, leale collaborazione di tutte le Istituzioni, compresi Parlamento, Governo, Regioni e Giudici. Questa cooperazione è anche la chiave per affrontare l’emergenza». 

Possiamo però vedere due atteggiamenti che escono dalla logica della contrapposizione: uno è cercare, con un lungo lavorio, di mediare fra interessi diversi come fa il capo del governo, l’altro è di esporsi, come fa il ministro della salute, con autorevole fermezza, dicendo le cose come stanno, e che le misure prese segnano la necessità di non sottovalutare quello che sta accadendo.

E in futuro cosa si preannuncia? Si parla di vaccinazione: renderla obbligatoria o affidarsi al senso di responsabilità? C’è la libertà di non vaccinarsi, ma anche il dovere di non danneggiare chi è vicino… Ancora una volta: quale libertà?

Il modello gerarchico patriarcale si basa sulla riproposizione di dettami, controlli, sanzioni che denotano una crisi di autorità e favoriscono la ribellione. Nella situazione in cui siamo, la trasgressione fine a se stessa è un fattore che impedisce la nostra stessa libertà. Le restrizioni nel movimento provocano disagi fisici e psichici, personali e sociali, ma abbiamo visto che il movimento fisico di chi ha contratto, anche in forma lieve il virus, ha provocato focolai che hanno messo in crisi il sistema sanitario. La libertà è un’esperienza che non deriva dalla trasgressione di regole imposte, ma ha un carattere relazionale e intraumano, essere gli uni per gli altri la possibilità di un nuovo inizio.


(Via Dogana 3, www.libreriadelledonne.it, 16 dicembre 2020)

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