Verona, 9 maggio 2013.
Chiara Zamboni per il XX incontro nazionale donne delle comunità cristiane di base
Il tema che propongo è quello dell’importanza di serbare nel proprio cuore quel che accade, le parole ascoltate, gli avvenimenti e i segni, per un allargamento dell’anima che può trasformarli in un divenire infinito di significazione.
Lo spunto mi è dato da due passi brevissimi del vangelo di Luca, molto simili tra di loro. Mi hanno sorpreso e fatto pensare. Non li avevo mai letti né sentito altri che li commentassero, ma del resto la mia cultura religiosa è limitata.
In Luca 2,19 dopo la descrizione della natività e poco prima che i pastori ritornino ai loro greggi leggiamo: «Maria, da parte sua, custodiva il ricordo di tutti questi fatti e li meditava dentro di sé». Così, dopo che Gesù ritorna con i genitori a Nazaret, avendo discusso con i sacerdoti al tempio, si legge: «Sua madre custodiva dentro di sé il ricordo di tutti questi fatti» (Luca, 2,59).
Sappiamo di Maria molte cose nei vangeli. Qui la immagino a partire da queste annotazioni. Lei conserva e medita dentro di sé le parole e gli avvenimenti. I segni. La sua è una forma di raccoglimento. Tutto il corpo partecipa di quel che accade, si lascia toccare. Parole e avvenimenti si incidono e lasciano tracce nel lato inconscio del corpo che serba una memoria involontaria.
Certo, assieme a Giuseppe, rimprovera il figlio, ma di questi fatti, attorno a cui si avvolge e che la avvolgono, non parla.
È notevole che è di lei che viene detto che serbava in sé questi avvenimenti, e non di Giuseppe, che pure era presente assieme a lei in entrambe le situazioni.
Mi sembra molto bello che sia proprio alla figura femminile più importante dei vangeli che viene attribuita l’esperienza simbolica di un doppio tempo. Da un lato il tempo immediato, quando ad esempio rimprovera il figlio. Oppure quando lo spinge, come nelle nozze di Cana, a mostrare la sua qualità divina. Dall’altro il tempo infinito del silenzio e della meditazione degli avvenimenti. Usando un’espressione del Dialogo di Caterina da Siena, si potrebbe dire: il tempo infinito dell’infinito desiderio e della passione infinita. Che risulta la trama vera del disegno dei fatti immediati. Così il tempo finito, del giorno per giorno, è visto in controcanto con il tempo infinito.
Noi oggi leggiamo i fatti dei vangeli come fatti simbolici. La natività, Gesù nel tempio, e così via. Maria, vivendoli, ne mostra una comprensione non tanto intellettuale, quanto con tutto il suo corpo. Con il tempo “altro” che il lato inconscio del corpo richiede. Con la meditazione “dentro di sé”. Una meditazione infinita che dura tutta una vita.
Si può pensare, per analogia, all’andamento del diario di Etty Hillesum. Se nella prima parte del diario lei è catturata dagli avvenimenti del giorno per giorno che descrive, commenta, a cui reagisce nell’immediatezza, poi, andando avanti nel diario, gli avvenimenti risultano eventi visti in una luce sempre più ampia. E si arriva così all’ultima parte del diario, dove descrive lo slargarsi dell’anima, che diventa pianura senza confini. Gli eventi sono sì immediati, ma allo stesso tempo letti a partire ormai dalla prospettiva della pianura sconfinata, in cui l’anima si è trasformata.
Caterina da Siena parlava di un tempo infinito, trama della finitezza. Etty Hillesum ha immagini spaziali. L’anima è diventata spazialmente infinita, pianura dell’essere. Simone Weil sapeva ragionare su queste questioni adoperando l’immagine dell’acqua, materia fluida, nella quale tutti gli eventi trovano il loro peso ponderato. Il loro significato. Acqua diventa – per Simone Weil – la nostra anima quando, mettendo tra parentesi l’io, si fa misura impersonale delle cose.
Questa prospettiva infinita da cui guardare il finito diventa in Annamaria Ortese quella del corpo celeste, che è la terra, pianeta di un sistema all’interno di una galassia in infinito movimento. Parlare a partire dalla terra, il nostro suolo, è già parlare allora da un tempo e spazio in movimento infinito. È da lì che lei considera gli accadimenti storici che ci coinvolgono.
Ritorno a Maria. Maria non arriva ad una posizione religiosa come la Hillesum, la Weil, forse la Ortese. Lei infatti parte già da una posizione religiosa, che ha preso corpo nell’accettare le parole di Gabriele che le annunciano la nascita divina per suo tramite. Ha accettato il mistero. Ma il fatto è che il mistero, l’enigma del divino lei stessa lo va scoprendo e meditando per tutto il movimento della sua vita, che seguiamo in parte nei vangeli. Con tutto il suo corpo va meditando in silenzio lo svolgersi e il significarsi dell’enigma, che non è indipendente dalla sua meditazione.
È come se lei fosse la custode dello svolgersi dell’enigma. Vivendolo in silenzio e in solitudine. Di questo non fa parola con altri nei vangeli. È come se noi fossimo debitrici a lei della memoria significativa dei fatti: meglio alla sua silenziosa testardaggine di custodire, meditare quel che avviene, portarlo a significato.
Se si parte dal presupposto che tutto quello che è scritto nei vangeli ha necessità, allora queste due frasi di Luca possono suggerire che i protagonisti del teatro del vangelo, delle azioni visibili sono soprattutto altri, ma che se queste azioni hanno un significato divino ponderato, dobbiamo essere grate a questa silenziosa meditazione di Maria, che va trasformando gli eventi da semplici fatti a figure di un movimento infinito di desiderio e di passione.