5 Marzo 2015
il manifesto

L’inciampo del pensiero nel cuore ferito d’Europa

di Alessandra Pigliaru

 

 

Tor­nare alla let­tura e alla discus­sione dei testi è sem­pre un eser­ci­zio utile, soprat­tutto in tempi di fra­stuono spet­ta­co­lare. Quando poi l’occasione offerta è quella di acco­starsi a due filo­sofe come María Zam­brano e Simone Weil allora l’esercizio diventa neces­sa­rio. Per dare senso alla poli­tica e riba­dire che no, non si erano sba­gliate nella loro ana­lisi sul modo di inten­dere il mondo e chi lo abita.

Da anni le rifles­sioni di Marìa Zam­brano e Simone Weil con­sen­tono scam­bio e con­fronto poli­tico, insieme alla risorsa di averle sapute siste­mare all’interno di un per­corso genea­lo­gico fem­mi­ni­sta. È forse con­gruo riflet­tere su que­sto sfondo per dire che il recente libro di Ste­fa­nia Taran­tino Senza madre. L’anima per­duta dell’Europa. María Zam­brano e Simone Weil (La scuola di Pita­gora, pp. 272, euro 18) è ancor più pro­pi­zio e si inse­ri­sce in uno sce­na­rio poli­tico e filo­so­fico pri­ma­rio. Il volume sarà pre­sen­tato, assieme al sag­gio «Fem­mi­ni­smo e neo­li­be­ra­li­smo. Libertà fem­mi­nile ver­sus impren­di­to­ria di sé e pre­ca­rietà» (Natan), sabato 7 marzo alla Libre­ria delle donne di Milano (ore 18.00). «È neces­sa­rio ripar­tire da ciò che ha fatto da inciampo al pen­siero per­ché senza madre non si ritorna più a ciò che noi siamo: crea­ture nate nel due irri­du­ci­bile e con­trad­dit­to­rio della rela­zione». Que­sta, in breve, è la posta in gioco poli­tica del volume che si posi­ziona all’interno del pen­siero della dif­fe­renza ses­suale da lungo tempo impe­gnato, come è noto, nella let­tura poli­tica e critico-filosofica di Zam­brano e Weil.

 

Tra esi­lio e presa di coscienza

 

L’interrogazione è dun­que sull’inciampo del pen­siero occi­den­tale che si è cre­duto senza madre, insieme alla straor­di­na­ria vio­lenza che ha pro­dotto. L’orientamento pro­po­sto da entrambe pog­gia da un lato sul con­tri­buto mosso a fran­tu­mare il noc­ciolo coria­ceo e neu­tro del pen­siero meta­fi­sico tra­di­zio­nale e dall’altro sulla proposta di una comu­nità capace di pra­ti­che poli­ti­che all’altezza dei viventi. Si sono così misu­rate intorno all’idea di Europa come pos­si­bi­lità di deci­frare il pre­sente. Ne andava di loro stesse. La pro­du­zione approfon­dita da Taran­tino risponde infatti ai primi anni Qua­ranta, momento dop­pia­mente cru­ciale: sia per l’Europa, fune­stata da guerre e vio­lenze, sia per la vita e il pen­siero di Zam­brano e Weil, tra esi­lio, pati­menti e presa di coscienza.
Il fuoco cen­trale ruota intorno ad alcuni testi. Il primo capi­tolo del volume di Ste­fa­nia Taran­tino si sof­ferma su María Zam­brano e L’agonia dell’Europa (in con­ti­nuità con L’uomo e il divino), rac­colta di brevi saggi e testi di con­fe­renze scritti da esule in Ame­rica Latina. Pub­bli­cato a Buenos Aires nel 1945, è stato edi­tato in Spa­gna solo nel 1988. Testo potente che già dall’avvertenza indica un’intenzione pre­cisa: «è spa­rito il mondo, ma il sen­ti­mento che ci radica in esso no». Se infatti l’agonia dell’Europa richiede un’analisi di coscienza dei falsi miti rin­corsi dall’Occidente, di fronte alla disper­sione e alla per­dita di ogni imme­dia­tezza non si può retro­ce­dere. Per comin­ciare a capire pro­fon­da­mente quale sia la malat­tia della poli­tica che sovrasta l’Europa secondo Zam­brano biso­gnerà anzi­tutto doman­darsi «Dove risiede l’origine della vio­lenza euro­pea? Fare que­sta domanda equi­vale a inter­ro­garsi sulle ori­gini dell’Europa, sulla sua nascita». Andando a sco­prire quali sono le cause di tale vio­lenza si deli­nea la peri­co­lo­sità di con­ce­zioni asso­lu­ti­sti­che e la conse­guente crea­zione del cosid­detto Dio euro­peo che ha con­sen­tito all’uomo di dei­fi­carsi. Zam­brano auspica allora una con­ver­sione totale della poli­tica occi­den­tale, una tra­sfor­ma­zione che non getti via il buono che delle radici euro­pee può toc­carci in sorte.

Ma il pro­blema è più com­plesso di così, non si tratta cioè di fare ritorno a qual­cosa di incon­ta­mi­nato che non si è saputo rico­no­scere; si tratta piut­to­sto di inchio­dare – e cam­biare di segno – quel che fonda la vio­lenza euro­pea, nomi­nando la tra­co­tanza amma­liante della ragione che, espunto il dato cor­po­reo, non ammette repliche e si for­gia sul cosid­detto «atti­vi­smo epi­ste­mico». Occorre rivol­gersi a una ragione media­trice, a qual­cosa che dia conto del sapere dell’esperienza e che non viva di scis­sioni tra il pen­sare e il sen­tire. «Solo tenendo conto della diver­si­fi­ca­zione della ragione – chiosa Taran­tino in accordo con Zam­brano – si distruggono i peri­coli della ragione tota­li­ta­ria, vio­lenta e superba». È dun­que la stessa legge ido­la­trica occiden­tale a essere messa in discus­sione, nella sua strut­tura esi­ziale che pre­vede idolo e vit­tima. All’atto di tra­co­tanza, misto e simile all’ossessione di dei­fi­ca­zione, risponde l’azione «sacra» di Anti­gone con tutto ciò che ha com­por­tato per Zam­brano riscri­verne la storia.

Il secondo capi­tolo di Senza madre è dedi­cato a Simone Weil. Figura che non smette di susci­tare forte attra­zione da parte del pen­siero della dif­fe­renza ses­suale, è stata al cen­tro di un recente numero di Via Dogana (110, set­tem­bre 2014) che l’ha scelta come ispi­ra­trice per aprire un’interrogazione sull’Europa. Con inter­venti impor­tanti e dibat­titi che poi si sono sporti anche al di là dell’occasione mono­gra­fica, varrà la pena segna­lare che in gene­rale il dibat­tito fem­mi­ni­sta sull’Europa è stato pro­fi­cuo e dif­fuso. A tal pro­po­sito, lo scorso set­tem­bre è uscito anche il n. 107 di Leg­gen­da­ria che riporta un cor­poso dos­sier sull’Europa, a seguito della discus­sione pub­blica del docu­mento dif­fuso dal gruppo del mer­co­ledì che si inti­to­lava Dei legami e dei con­flitti. Cosa suc­cede se l’Europa si prende cura? e per il quale si rimanda anche al sito DeA/ Donne e Altri in cui sono pre­senti ulte­riori contributi.

Come Simone Weil abbia signi­fi­cato i con­flitti e la malat­tia dell’Occidente lo evin­ciamo da più di un suo testo. Taran­tino muove dal dibat­tito avve­nuto nei Nou­veaux Cahiers sull’affermarsi dell’hitlerismo, sull’assetto da dare all’Europa del dopo­guerra e sulla con­di­zione da ser­bare a una Ger­ma­nia disfatta.

 

Osta­coli radicali

 

Weil si accorge che i suoi con­tem­po­ra­nei non rie­scono a scan­da­gliare le logi­che occi­den­tali inci­state dalla vio­lenza bensì ne for­ni­scono spie­ga­zioni insuf­fi­cienti. Eppure sarebbe bastato, fin da allora, dare conto di quei quat­tro osta­coli che Weil rin­trac­cia ne La prima radice come ciò che ci distan­zia irri­me­dia­bil­mente da una forma di civiltà – e quindi di comu­nità – che valga qual­cosa: la falsa idea di gran­dezza, la degra­da­zione del senso di giu­sti­zia, l’idolatria per il denaro, l’assenza di spi­ri­tua­lità. Sono osta­coli radi­cali «per­ché è dubbio che in que­sto momento un solo essere umano sulla super­fi­cie del globo ter­re­stre sfugga a quella qua­dru­plice malat­tia ed è anche più dub­bio che ve ne sia uno solo di razza bianca. Ma se ve ne sono, nonostante tutto, come biso­gna spe­rare, sono certo nasco­sti». Che emer­gano dal nascon­di­glio fa sostanzialmente parte di quel che si augura Ste­fa­nia Taran­tino, per­ché non basta più cruc­ciarsi solo dello stra­bi­smo teo­rico né dolersi quando, nella diva­ri­ca­zione fra l’attuale dit­ta­tura finan­zia­ria dell’economia e un’Europa che si è cre­duta senza madre, a finire mas­sa­crate sono migliaia di esi­stenze spesso inde­gne di lutto.


(il manifesto, 5 marzo 2015)

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