di Vita Cosentino
Introduzione all’incontro di Via Dogana 3: L’inconscio, ingrediente segreto, domenica 10 settembre 2017
Dico subito che io non c’ero ai tempi della pratica dell’inconscio, sono venuta dopo e non ho competenze psicoanalitiche. Ho passione politica e per questo, dopo l’incontro voluto a luglio da Lia Cigarini Chi vince tra desiderio e potere? Attualità della pratica politica dell’inconscio, mi sono messa a leggere e pensare per non lasciar cadere la sua proposta e farne un numero di VD 3.
Ho preso spunto principalmente da:
La dispensa gialla (in vendita in Libreria)
Non credere di avere dei diritti (Libreria delle donne, Rosenberg & Sellier)
La materiale vita (Tristana Dini, Mimesis edizioni)
L’inconscio può pensare? (Chiara Zamboni, Moretti & Vitali) in particolare il suo saggio su Lou Salomé, che ho saccheggiato per disporre di uno sguardo femminile sugli aspetti psicoanalitici.
Alcune, nella redazione ristretta, hanno espresso preoccupazioni per la complessità del tema. Per questo, per prima cosa, brevemente definisco il termine inconscio, così come lo intende Lou Salomé, perché la sua posizione mi ha aiutata nel mio ragionare. Per lei ha una doppia valenza: è sì fissazione alla propria storia infantile come rimozione e regressione, causa quindi di nevrosi, ma è anche la potenzialità creatrice dell’infanzia, nel senso “di un divenire sempre primordialmente originario”. Le due cose sono legate. Le fissazioni sono tali perché “rimangono aggrappate da qualche parte” prima di aver raggiunto “la patria di nuove possibilità creative” (pp. 103-104).
Sostengo che l’inconscio è l’ingrediente segreto perché, rileggendo soprattutto Non credere, mi sono accorta che, sebbene venga detto esplicitamente che la pratica dell’inconscio si è diffusa poco – proprio perché ritenuta troppo difficile – in realtà essa ha continuato a lavorare sotterraneamente in tutti questi anni. L’inconscio è stato la risorsa principale per tutte le invenzione politiche, dalla madre simbolica all’omosessualità politica, all’affidamento, alla disparità, all’autorità e via e via.
Vi porto ad esempio un passo dal capitolo Le madri simboliche che fa vedere fin nel linguaggio, fin nel modo di raccontare, come questo ingrediente sia presente: “E poi perché nell’esistenza di ogni donna c’è stato un tempo, anche se remoto e sepolto, in cui ha guardato verso l’una o l’altra delle sue simili come alle depositarie del sapere per lei più importante. Quel tempo è lo stesso in cui una donna ha ingenuamente pensato, era una bambina, che il mondo stava aspettandola e aveva bisogno di lei” (p. 142).
Per parlare di me, ricordo che quando il Sottosopra verde propose di sessualizzare i rapporti sociali e io cominciai le pratiche a scuola, la cosa fu accompagnata da sogni in cui ero nuda in mezzo a persone tutte vestite. Lì si stava muovendo qualcosa di profondo e io neppure sapevo che cosa fosse. Le pratiche politiche, a loro volta, rimettono in gioco l’inconscio.
L’ingrediente è segreto, ma è anche riconoscibile. Mi ha molto sorpreso trovare nella Materiale vita di Tristana Dini, una femminista di seconda generazione, l’esplicita registrazione del fatto che l’intreccio tra politica e psicanalisi sia l’elemento di fondo del femminismo della differenza. Infatti lei scrive: “In alcuni settori del femminismo italiano, vengono proposte dinamiche di ‘affidamento’ e ‘disparità’ che aprono la strada, sulla base di un sempre maggiore impatto del femminismo con la psicoanalisi, a quella politica del simbolico che porrà al centro il tema della figura materna” (pp. 121-123). Riconoscibile non vuol dire che sia accettato o condiviso. Apre però un terreno preciso di confronto.
In riferimento a questo primo punto, vorrei porre due questioni a tutte e tutti noi qui presenti, ma in particolare a Lia Cigarini che di questa storia è stata una delle protagoniste (assieme a lei voglio qui nominare almeno Lea Melandri).
La prima è suscitata dal fatto che nel suo libro Tristana Dini estende il riferimento all’inconscio anche all’autocoscienza. So bene che ai tempi, e anche in Non credere, le pratiche, come l’autocoscienza e la pratica dell’inconscio, erano nettamente distinte se non in parziale contraddizione, ma oggi è ancora politicamente produttivo mantenere queste distinzioni? o è meglio valorizzare l’idea che per una donna è comunque l’inconscio l’ingrediente segreto di una politica che non sia di uguaglianza con gli uomini?
La seconda questione riguarda il fatto che Chiara Zamboni nella dispensa dà molto peso al concetto di “omosessualità politica e simbolica”, derivato dalla Fouque, e ritiene importante oggi riprendere questa posizione che ha a che fare con un inconscio legato al corpo materno e al corpo delle altre. Tutte le donne, sia che siano omosessuali sia che siano eterosessuali, “hanno un legame sensuale e affettivo tra loro dato che le accomuna il primo legame con il corpo della madre”.
Negli anni ’80 e ’90 l’omosessualità politica era un’idea che circolava molto, che nominava un tessuto di relazioni strette che si creavano in molti luoghi, che avvalorava la fiducia con cui ci si poteva rivolgere a un’altra donna. Poi è caduta un po’ nel dimenticatoio. E oggi le donne giovani non ne sanno nulla.
È politicamente importante rimetterla in circolazione oggi? Può essere effettivamente quell’elemento che, come sostiene Zamboni, permette di contrastare il fatto che il movimento Lgbt irrigidisce in identità fisse, mentre esiste un movimento fluido delle donne tra loro?
Narcisismo e neoliberalismo
Lia conclude il suo intervento ammirando la preveggenza di A. Fouque quando ha scritto: “Nel ’68 siamo entrati in una organizzazione libidinale introdotta da Freud cinquant’anni prima con la qualifica di narcisismo. Oggi è il tempo dell’auto, degli esseri che si auto-fabbricano, si auto-esibiscono, si auto-promuovono, come auto-merce”.
Questo mi è sembrato subito un punto politicamente molto denso e attuale. Di auto-merce, di auto-promozione, negli ultimi tempi abbiamo discusso più volte qui in Libreria, invitando Tristana Dini e Stefania Tarantino, autrici di Femminismo e neoliberalismo e La Materiale vita. Esse sostengono che viviamo in una società biocapitalistica, in cui il soggetto non è più il soggetto di diritti ma è “soggetto di interesse” che “partendo dal desiderio presenta una dinamica egoista e immediatamente moltiplicatrice” (La materiale vita, p. 102).
Quelle discussioni mi hanno confermato che nel nostro tempo è proprio il desiderio il motore dell’agire. Per noi femministe il desiderio muove dal partire da sé, vive in una dimensione relazionale, fuori dal potere, dà vita a quella “politica del desiderio” di cui la forza politica “non sta nel desiderare qualcosa di oggettivo, ma nelle trasformazioni che esso opera in noi e nel nostro rapporto con il mondo” (Muraro). Nella logica neoliberalista, invece, il desiderio guida “l’impresa del sé” e “produce identificazioni mobili, multiple, in divenire, ma che si compattano intorno a un unico oggetto: la valorizzazione, la produzione, la prestazione, il “funzionamento” del sé” (Dini).
Gli esiti sono molto diversi ma c’è contiguità tra soggettività femminile e auto-imprenditorialità.
Le parole della Fouque mi hanno come spalancato una porta, perché per la prima volta ho visto una connessione tra neoliberalismo e narcisismo. Danno una chiave di accesso differente, un punto di vista che parte dalla vita psichica per leggere un quadro biopolitico che spesso appare come una situazione senza via di uscita. Il neoliberalismo punta a quello che Freud ha definito narcisismo secondario, cioè dell’età adulta, per implementare “l’Impresa del sé”.
La mia è poco più di un’intuizione che propongo alla discussione per le domande e le questioni che apre:
qual è la leva per la trasformazione soggettiva quando prevale l’auto-affermazione, l’auto-realizzazione individualistica?
Il femminismo della differenza ha elaborato pratiche per stare in rapporto con l’inconscio. Quale pratica politica oggi?
Se il narcisismo maschile è debordante e inquietante, che cosa si può cominciare a dire sul narcisismo femminile, oltre al fatto che circola poco?
Su quest’ultima questione, dico – per inciso – che Lou Salomé, soprattutto nel suo libro Il tipo donna, parla esplicitamente di narcisismo femminile e gli dà un valore positivo. Lo ritiene più prossimo al narcisismo primario, che per lei è il nostro radicamento nello stato originario, come una pianta nella terra, e, proprio perché l’io non è costituito, si configura come un’esperienza che porta con sé tutto il mondo.
(Via Dogana 3, 18 settembre 2017)