19 Giugno 2013
il manifesto

L’indulgenza? Meglio se perpetua Parola di suora, angelica con spirito punk

No, non si tratta di Sister Act. E nemmeno della suora canterina Debbie Reynolds del film di Henry Koster. Siamo piuttosto dalle parti delle suorine punk del primissimo Pedro Almodovar, quello dell’Indiscreto fascino del peccato. Sante emissarie della gioia universale, le suore dell’irresistibile documentario di Joe Balass sono state per anni uno dei segreti meglio custoditi della comunità lgbt. Joy!, documentario di Joe Balass, autore di Baghdad Twist, ripercorre la parabola terrena delle Sisters of Perpetual Indulgence (le sorelle dell’indulgenza perpetua), una comune fondata su un approccio politicamente radicale, una fede eroticamente sincretica, un misticismo intimo e rivoluzionario, nonché un animismo visionario e onnicomprensivo.
Sorta nella San Francisco più radicale, la comune si caratterizza da subito come una sorta di happening perenne. Una festa mobile. Le diverse anime del progetto s’intrecciano indissolubilmente in uno dei tentativi di convivenza utopica più radicale di sempre.Balass, ascoltatore complice e attento, evidenzia con grande partecipazione il progetto sciamanistico del gruppo, cogliendo in controluce le metamorfosi affrontate dalla comunità e dalla società cui le sorelle si rivolgevano. Come in una sorta di torsione floreale del vilipendio punk di John Waters, le sorelle dell’indulgenza perpetua, cosa di cui abbiamo, in definitiva, bisogno tutti, s’impegnano a diffondere la «gioia universale» dichiarando guerra senza quartiere alla «colpa stigmatica».
Al di là dell’inevitabile coloritura camp, Balass coglie con grande acume i residui di una pratica politica che dagli anni Sessanta in poi ha rischiato di essere marginalizzata e che nel riprocessare l’identità di un gruppo non ha mai cessato di chiamare in causa il resto della società civile.
Come una sorta di battaglione di angelicate truppe di guardiani del karma, le sorelle dell’indulgenza perpetua offrono un modello di vita fondato sull’accettazione instancabile dell’altro e al tempo stesso il ribaltamento continuo di qualsiasi nozione di ruolo e identità. Dietro la facciata d’irresistibile anarchia cova, infatti, un’evidente traccia di malinconia che rivela come obiettivi e lotte non sempre abbiano ottenuto i risultati agognati.
Dalla trincea di San Francisco alla relativa tranquillità del profondo sud degli Stati Uniti, Joy! segue il percorso di una spiritualità tanto profonda quanto indefinibile. Imprendibile e in continuo e instancabile dialogo con il mondo. Un dialogo articolato come un processo di messa in scena inarrestabile. Come un racconto senza fine.
Il conflitto nel tentativo di dichiarare superata la dicotomia fra corpo e spirito diventa il segno di una società, quella statunitense ma non solo, che pur dichiarando di aderire ai valori cristiani, di fatto, in nome di quegli stessi valori che dichiara di difendere, pratica la segregazione delle idee e dei corpi.
La gioia universale diventa così l’ultima arma possibile da utilizzare contro l’ideologia della colpa stigmatica che vorrebbe ridurci tutti a dei macilenti brandelli di carne torturata dai sensi di colpa.
Joy!, nell’ambito del Mix, si presenta come uno dei punti chiave di un programma articolato e ricco che si propone di indagare e mettere in luce le numerose possibilità insite nella cultura dell’alterità e della differenza.
Le suore di Balass, che potrebbero essere state partorite dalla mente cosmica e psicomagica di Jodorowski, rappresentano oggi le ultime vestigia di un’utopia comunitaria che raccontano anche le profonde trasformazioni che la comunità ha affrontato nel corso degli ultimi quarant’anni. In questo senso Joy! è il film ideale per tracciare un bilancio e ipotizzare strategie future.

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