I burocrati hanno paura della differenza.
23 Novembre 2013
il Fatto Quotidiano

L’inutile parità dei genitori “1 e 2”

di Marco Politi

Qualcosa non funziona nella decisione presa al liceo Mamiani di cancellare l’appellativo di padre e madre sul libretto delle giustificazioni, introducendo l’etichetta “genitore 1” e “genitore 2”. E non convince la spiegazione fintamente naïve della direzione di “non sapere” se averlo fatto significhi avere “innovato o meno”, perché si tratterebbe di adeguarsi ai cambiamenti della società e di tenere conto delle famiglie allargate.
Di Scajola ce ne sono già abbastanza in politica, ci siano risparmiati negli istituti destinati ad alimentare il senso critico delle giovani generazioni.
Dunque partiamo dal fatto che è un’innovazione e discutiamo laicamente se ha senso.
Salta agli occhi che la dicitura ha un suono orrendamente burocratico. I numeri si appiccicano agli individui nelle istituzioni spersonalizzanti e non si capisce perché sia necessario introdurli a scuola. Io sono il padre di mio figlio e non il “genitore 1 o 2” e voglio essere riconosciuto tale dai miei interlocutori.
Esiste da tempo immemorabile la dicitura “padre, madre o chi ne fa le veci”. (Se si voleva, si poteva cambiare in “…o chi ha la cura dell’alunno”). Perciò è assolutamente fuori luogo citare la complessità dei nuovi nuclei familiari, perché la vecchia dicitura copre ogni situazione e risponde sia all’esigenza tecnica di depositare una firma sia a quella di qualificare il partner di coppia che si cura del figlio altrui. Con affetto, amore, senso di responsabilità, ma sapendo tutti, a partire dal ragazzo o la ragazza, che è figlio o figlia altrui.
Allora conviene andare al nocciolo della questione. La nuova dicitura, scelta volutamente, finisce per uniformare forzatamente le situazioni plurali di una società multiforme. Proprio questo livellamento è inaccettabile, perché mescola indebitamente la giusta battaglia per il riconoscimento dei pari diritti di ogni tipologia di nucleo familiare con il disconoscimento della storia di ciascun individuo. Ogni ragazzo o ragazza ha il diritto di vedere riconosciuto il cammino del proprio entrare nel mondo come soggetto biopsichico, anello di una catena che non è soltanto Dna ma “storia” di una persona, di famiglie, di generazioni, di percorsi collettivi. Una storia in cui la nascita e la provenienza non sono elementi accidentali. Ed in cui l’adozione – storicamente – aveva una sua solennità a ragion veduta, perché significava l’ingresso in un’altra storia.
In questo cammino la madre è la madre, il padre è il padre, il partner della madre o del padre è appunto il partner di lui o di lei. E il figlio di una coppia, che abbia fatto la fecondazione eterologa , non a caso nei paesi più avanzati ha il diritto garantito di andare a scoprire chi è l’“altro” genitore nascosto che gli ha permesso di nascere.
Tutto questo non è in-differenziato. Le differenze hanno un senso, le differenze hanno valore, le differenze sono soprattutto realtà. Schiacciare le differenze per inscatolarle sotto un’etichetta per la quale ogni situazione sarebbe uguale all’altra non è per nulla progressista. Non è neanche politically correct, è politically storto.
Il progresso culturale contemporaneo si è orientato da decenni alla tutela giuridica egualitaria delle situazioni plurali. Tutelare la pluralità è progresso. Cancellare la pluralità non lo è. Sostenere che il riconoscimento della pluralità sarebbe discriminatorio è falso.
ECCO, la terminologia scelta al Mamiani è fondamentalmente falsa perché mistifica le realtà e non tiene conto del fatto che le giovani generazioni sono da tempo abituale alla fluidità delle situazioni di coppia e alla mescolanza di figli di diversi “letti” (si sarebbe detto un tempo). E queste generazioni non hanno bisogno che una burocrazia scolastica imponga un’etichettatura che va bene per le lampadine e già meno bene per le mele. Com’è purtroppo difficilmente evitabile in un paese, dove la sfera familiare è stata appalto per secoli dell’autorità ecclesiastica, al primo accenno di discussione si sono alzati i lamenti di chi è stato sempre contro tutto: il divorzio, la pillola, la legge sull’aborto, la fecondazione artificiale, il testamento biologico. Ma qui il discrimine clericali e anticlericali non c’entra niente.
Qui si tratta di esaminare se una scelta di livellamento dei nomi è in sintonia con la crescita di soggettività e la valorizzazione delle differenze, che caratterizzano la nostra società.
Genitore 1 e Genitore 2 ha il sapore di una manipolazione e come ogni contraffazione sarebbe bene toglierla dal commercio.

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