30 Marzo 2016
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Lo strazio di Lahore

di Luciana Piddiu

“…là dove si fa violenza all’uomo, la si fa anche al linguaggio”

I sommersi e i salvati

Mi verrebbe da dire parafrasando Primo Levi, che vale anche il contrario: se si fa violenza al linguaggio, la si fa anche agli esseri umani. E lo dico a ragion veduta, in polemica con quanti, scrittori, giornalisti, intellettuali, chiamano shahid, “martiri”, i fondamentalisti islamici.

Il martire, dalla parola greca martus, è colui che testimonia la propria fede nonostante le persecuzioni e arriva anche ad accettare la morte pur di non abiurare. Nella nostra cultura il martirio ha un’accezione positiva,denota coraggio,forza d’animo, fedeltà a se stessi e ai propri ideali.

Tant’è che per estensione il termine è stato attribuito anche a coloro che sono morti per difendere i loro valori in nome della libertà, penso a Ipazia, a Giordano Bruno, a Salvo D’Acquisto.

La parola evoca una disposizione d’animo di grande generosità, la capacità di compiere un gesto straordinario. Per questo non possiamo accreditare l’idea che i terroristi islamici siano shahid, martiri, come loro per primi vorrebbero farci credere nelle loro azioni di propaganda e di proselitismo.

Farsi esplodere in mezzo a persone inermi, provocare morte e dolore inutili, non fa di loro i nuovi martiri del XXI secolo. No davvero!

Che ne siano o no consapevoli,che siano o meno manipolati e funzionali a un progetto politico di cui sono semplici pedine, essi sono e restano stragisti assassini. Così li dobbiamo chiamare.

Arrogarsi il diritto e il potere di dare la morte, interpretando alla lettera quanto dice il Libro «Non lasciar sulla terra – dei Negatori – vivo nessuno» (Corano, 71:26) non può in alcun modo essere equiparato all’atto di chi la morte la subisce per non tradire la propria fede.

La semplice torsione linguistica che li accredita come martiri presso l’opinione pubblica rischia di sdoganare le stragi compiute in preda a una sorta di delirio di onnipotenza, conferendo loro valore epico.

Nell’attentato di Lahore decine di bambini sono stati falcidiati senza pietà. Quel gesto estremo e irrimediabile non è testimonianza di fede, gesto d’amore per la vita e i viventi, ma sigillo mortifero: sancisce nella sua feroce crudeltà la supremazia della morte sulla vita.

Luciana Piddiu, 30 marzo 2016

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