3 Novembre 2013
L'Osservatore Romano

L’ultima beghina

di Felice Accrocca

Il 2 novembre 1913 nasceva a L’Aia, in Olanda, Romana Guarnieri: i suoi genitori — Romano Guarnieri (1883-1955) e Iete van Beuge (1890-1971) — vi si erano trasferiti dopo il loro matrimonio nel 1909 a Nimega, città natale della madre, e qui nacque anche il fratello Leonardo (1915). Suo padre Romano, spirito indipendente e avventuroso, dopo la licenza liceale conseguita a Firenze, a soli diciassette anni aveva lasciato la famiglia e si era arruolato nell’esercito. Tornato nel capoluogo toscano, si legò agli intellettuali del «Leonardo» e de «La Voce» (Giovanni Papini, Giuseppe Prezzolini e altri), così come al gruppo dei futuristi di Marinetti; più tardi sarebbe stato tra i cofondatori dell’università per Stranieri di Perugia.

Romano e Iete si divisero nel 1919; il divorzio portò, qualche anno dopo, anche alla separazione dei due figli: nel 1925 Romana fu condotta a Roma dalla madre, che vi si stabilì con il suo nuovo compagno (l’architetto Gaetano Minnucci), mentre Leonardo rimase a Nimega, affidato ai nonni materni, con i quali visse fino a diciotto anni, allorché  si trasferì anch’egli nella capitale per frequentare l’università.

Nel 1938 Romana si laureò in Letteratura tedesca alla Sapienza e in quello stesso anno incontrò don Giuseppe De Luca, una delle menti più vivaci e geniali della cultura cattolica del XX secolo: con lui darà inizio a uno straordinario sodalizio intellettuale, interrotto solo dalla prematura morte di De Luca, nel 1962.

Fino all’incontro con il fondatore dell’Archivio italiano per la storia della pietà, Romana, che pure era stata battezzata, non aveva mai avuto alcun rapporto con la fede. Non solo: mi confidò lei stessa, quando la intervistai per «L’Osservatore Romano»: «Nella mia famiglia di artisti e di intellettuali agnostici nessuno mi aveva mai parlato di Lui. Non dico di Dio, ma di Gesù» (edizione del 1° gennaio 2000, p. 3).

In una lettera del 6 febbraio 1940, frammento di una corrispondenza ricchissima e preziosa, De Luca le scriveva: «Darei e do una parte della mia felicità, perché tu possa conoscer meglio Gesù, e non sperimentarlo come Legge ma come Grazia; non come un dovere, ma come un amore; non come coazione, ma come liberazione». Romana stessa pubblicò questo stralcio in un volume straordinario, che varrebbe la pena ripubblicare (Una singolare amicizia. Ricordando don Giuseppe De Luca, Genova, Marietti, 1998, p. 26). L’incontro con De Luca significò per lei anche l’inizio di un diverso percorso intellettuale: si orientò infatti decisamente verso gli studi di storia religiosa.

(L’Osservatore Romano – 3/11/2013)

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