di Marirì Martinengo
Cara Via Dogana 3,
come mi succede quasi sempre, la discussione di “Via Dogana 3” mi serve per pensare, a volte per precisare meglio il mio pensiero.
Ieri, 13 settembre 2015, avevo in mente l’argomento di cui volevo dire, ma poi tutto quel gran discorrere su Angela Merkel me ne ha distolto.
Lo dico ora per iscritto.
Dunque “farsi forza”, invito che interpreto in duplice modo, cioè “diventare una forza”, vale a dire energia generatrice di nuova energia per altri e altre, e “infondersi coraggio” rivolto a se stessa.
Per me vanno bene ambedue .
Far sentire parola femminile nata dall’esperienza.
Da alcuni anni vivo in una situazione quotidiana di disagio: coabito con un marito in precarie condizioni di salute, ridotto in modo permanente su una sedia a rotelle, e un badante a tempo pieno.
Quando ne parlo, mi sento rispondere: «Di cosa ti lamenti? Hai un bravo badante!»
Non mi lamento, constato: vivo costantemente divisa tra due sentimenti contrastanti; rabbia e pietà: rabbia perché in questi pochi anni che mi restano da vivere non sono libera, sono legata da orari tirannici, devo sempre tornare a casa a una certa ora, sono richiesta di servizi umilianti, ho un estraneo in una casa di cui non sono più padrona, in una casa rivoluzionata da esigenze di coabitazione, casa non grande ingombra di orribili strumenti ortopedici; sono gravata di costi economici quasi insostenibili; provo pietà e struggimento verso una persona amata, una volta gagliarda, irriconoscibile ora, segnata dal male.
Mi faccio forza sostanzialmente in due modi: potenziando la mia attività politica, soprattutto in questo ultimo anno sono stata presente e protagonista in situazioni pubbliche che hanno richiamato alla memoria passati impegni come la pedagogia della differenza, le Trovatore, esperienze di affidamento, e soprattutto la storia vivente; il secondo modo è quello di valorizzare le piccole gioie, come per esempio il sedermi dinanzi a un pranzo pronto, il riuscire a riaddormentarmi quando mi sveglio alle tre di notte… Mangio abitualmente dei confetti.
La rabbia di cui parlavo prima è motivata non solo dalla mia situazione personale, ma anche dalla amara consapevolezza che l’innaturale prolungamento della nostra vita giova all’imponente apparato sanitario pubblico e privato, all’industria farmaceutica, alle badanti e ai badanti stranieri che si insediano qui, mentre a molte di noi donne anche anziane tocca la pesante organizzazione assistenziale e i suoi costi, alle meno fortunate senza aiuti.
Meglio sarebbe rimanere in vita – far durare la vita – solo finché le proprie energie assicurano l’autonomia.
Marirì Martinengo
(Via Dogana 3, 15 settembre 2015)
Articoli collegati: