6 Dicembre 2013

Margarete von Trotta: Vision.

Bookcity  Libreria delle donne  23 novembre 2013

Narrazione  di Marirì Martinengo

Io ho molto amato Ildegarda di Bingen.

Offre un’immagine fortificante di donna.

Ha destato in me ammirazione la sua grande capacità di mettersi in relazione con donne e uomini, umili e grandi, a voce e per iscritto, unita però anche a quella di trovare i modi per ribellarsi quando un rapporto si faceva vincolante, e successivamente di escogitare le vie per confliggere senza rompere e ottenere quanto voleva.

L’epistolario ne è testimonianza.

Questa capacità era figlia di una visione filosofico/religiosa che vedeva nell’interrelazione fra le varie componenti dell’universo e degli esseri viventi sulla terra (donne e uomini, animali e piante),  un armonioso disegno ultraterreno.

L’epistolario attesta anche l’alta considerazione di cui godeva Ildegarda: molti e molte si rivolgevano a lei per avere consigli, regole e norme su come comportarsi, quale condotta tenere in una determinata occasione, numerosissime donne la chiamavano “madre”e preferivano ricorrere a lei, piuttosto che a preti o a vescovi o ad abati, autorità ufficiali, preposte dalla Chiesa a governare il popolo dei fedeli, riconoscendo in lei una vera interprete e fedele portavoce di Dio.

Mi hanno affascinato le sue doti artistiche (pittura, poesia, scrittura, musica, canto), l’interesse per le scienze (botanica, medicina), per la filosofia e la teologia, le sue doti profetiche (nel medioevo questo voleva dire non previsione del futuro, ma la conoscenza della volontà divina).

Ho visto in lei una fondatrice di autorità e di genealogia femminili, notando anche che tutto questo non faceva velo alla sua umanità: aveva infatti personalità dotata di grande equilibrio, dove l’aspetto autorevole e grandioso si affiancava e alternava al piano delle emozioni e delle passioni, senza escludere quello della fragilità fisica che non nascondeva.

Ildegarda scrisse molti libri, riflesso della sua cultura, dei suoi interessi: fra gli altri Scivias, Liber meritorum, Liber divinorum operum, Causae et curae, che studia le malattie e i loro rimedi (il corpo è degno di attenzioni al pari dell’anima); le stava particolarmente a cuore la conoscenza e la cura del corpo femminile.

Compose e musicò poesie e inni. Scrisse un numero imponente di lettere (tramite le quali, uniche, ai suoi tempi, scorreva la comunicazione fra persone lontane), intrattenendo rapporti di natura politica con imperatori come Federico Barbarossa e i quattro papi che si susseguirono nel pontificato durante la sua esistenza.

Due parole sulla sua vita.

Ildegarda nacque da nobile famiglia nell’Assia renana, vicino a Magonza, visse nel XII secolo (1098-1179), fu contemporanea cioè di Chiara d’Assisi, di Eloisa, di Eleonora d’Aquitania, della Contessa di Dia e delle altre prime trovatore occitane, di Bernardo di Chiaravalle, di Pietro Abelardo. Trascorse la vita nei due monasteri di Disibodenberg e di Rupertsberg, svolgendo le mansioni di reggitrice spirituale e materiale della comunità a lei affidata.

È figura d’altissima statura, poliedrica e complessa, frutto di un medioevo giunto al culmine della sua maturazione.

Compresa della grandezza di Ildegarda, rivolgo su di lei uno sguardo consapevolmente parziale, soggettivo, laico, di donna.

Dopo aver visto il film di Margarethe von Trotta, Vision, ho scelto di parlare qui di un episodio della vita di Ildegarda, trattato nel film e che io ho studiato attraverso le numerose lettere della nostra badessa e delle sue e dei suoi corrispondenti, ad esso dedicate.

Mi sono avvicinata ad Ildegarda una trentina di anni fa circa, in modo occasionale: mia figlia aveva manifestato l’intenzione di andarsene di casa, quando mi è capitato di leggere la lettera che Ildegarda aveva scritto a Richardis, nella quale lei, badessa, madre spirituale e maestra, si rivolgeva alla giovane monaca che era in procinto di lasciare il monastero di Rupertsberg, fondato da Ildegarda, nel quale aveva vissuto ed era stata educata.

Mi sono sentita in sintonia.

Richardis era figlia della marchesa von Stade (grande benefattrice del monastero di Rupertsberg, cui aveva donato terre e beni), la quale aveva affidato la bambina a Ildegarda per la sua educazione e istruzione. Una volta cresciuta, la giovane, colta, sensibile, intelligente era diventata di grande aiuto per la sua maestra nelle sue attività culturali e spirituali. Fra le due donne era nato un forte legame di stima, di affetto, di riconoscenza. Una miniatura, inserita in uno dei libri di Ildegarda, le mostra a colloquio l’una accanto all’altra.

Ad un certo punto alla giovane, i cui meriti avevano oltrepassato le mura del Rupertsberg, venne offerta la carica di badessa del monastero di Bassum, vicino a Brema, città nella quale suo fratello Hartwig era vescovo. Era un incarico di prestigio, allettante per la giovane e che avrebbe accresciuto il credito e la reputazione della famiglia, che non a caso premeva per l’accettazione.

Ecco il motivo della lettera di Ildegarda a Richardis, di cui dicevo, essa è molto toccante, vibra di emozioni: di amore per la sua giovane allieva, di dolore per la sua partenza, di orgoglio ferito per il ventilato abbandono. Allora mi ci ero riconosciuta.

Non si conosce chiaramente la volontà di Richardis, cui è riferito, a questo proposito, il verbo “inclinavit” che in latino è di significato ambiguo: significa sia “propendere per” sia “ piegarsi a”. La giovane voleva effettivamente assumere la funzione di reggitrice di un monastero o era sollecitata energicamente dalla famiglia?

Ildegarda mise in gioco tutta la sua autorità magistrale e profetica, per sventare il proposito, sostenendo che individuava nella permanenza di Richardis presso di sé il disegno divino, mentre vedeva nell’accoglimento dell’incarico occasione di superbia, di allontanamento dalla via di salvazione.

Per ottenere quanto desiderava, scrisse un gran numero di lettere: alla madre di Richardis, al fratello di lei Hartwig, a personaggi influenti, come vescovi e alti prelati del circondario, perfino al papa Eugenio III e infine, visti incerti o vani tutti i tentativi, alla stessa Richardis: «Audi me; filia, matrem tuam in spiritu dicentem. Dolor meus ascendit…».

Dotata di talento drammatico, mise in scena un vero e proprio dramma, con tanto di personaggi, scene, azione. Da ricordare il dramma che Ildegarda aveva scritto e musicato, l’Ordo virtutum, che è forse la prima sacra rappresentazione europea, in cui il diavolo e un angelo si contendono l’anima di un defunto.

La prima lettera in ordine di tempo Ildegarda la indirizzò alla marchesa von Stade, nel riconoscimento e nell’ossequio all’autorità materna, quindi si rivolse via via a coloro che pensava potessero influenzare il corso degli eventi nel senso a lei favorevole.

Ildegarda avrebbe voluto che Richardis si fermasse presso di sé, non solo perché le voleva bene (da tenere presente che siamo nel XII secolo, tempo segnato dalla cultura dell’amore) e si giovava del suo aiuto e del suo consiglio, ma perché riteneva fosse la scelta migliore che la giovane monaca restasse nell’ordine materno garantito dal proprio monastero e non entrasse nell’ordine patriarcale cui la famiglia e le sue regole sono soggette.

Coltivava il progetto di creare genealogia femminile: lei stessa era stata allieva della nobile badessa Jutta, da cui aveva appreso gli insegnamenti che a sua volta trasmetteva.

Tutta l’energia e la passione dispiegate risultarono inutili: Richardis si allontanò dalla sua maestra, dal luogo e dalle occupazioni che aveva condiviso con lei, ricoprì l’incarico per cui era stata eletta, compiendo forse un passo di indipendenza, di crescita, di raggiungimento di un obiettivo. In questo suo gesto mi pare di scorgere la compiutezza dell’educazione impartitale dalla sua maestra: la giovane entra nell’età adulta.

Ma la storia non finisce qui.

Richardis morì quasi subito dopo il suo arrivo nel nuovo monastero.

Sappiamo dalle lettere del fratello indirizzate a Ildegarda che , durante il periodo trascorso a Bassum, aveva versato molte lacrime per aver lasciato la sua maestra e il suo monastero e aveva manifestato più volte il desiderio di farvi ritorno.

 

A conclusione di questa drammatica vicenda, si può dire che l’autorità di Ildegarda e la sua lungimiranza risultarono vincitrici e il suo prestigio e il suo credito aumentarono, ma questo fu per lei certo un amarissimo trionfo.

 

Io ho dedicato due saggi a Ildegarda di Bingen, ambedue costruiti sulla base della corrispondenza in lingua latina intercorsa fra lei e le sue / i suoi corrispondenti. Nel primo saggio, intitolato Ildegarda e Richardis, pubblicato su Diotima. Il cielo stellato dentro di noi dalla Tartaruga editrice, nel 1992 (da tempo esaurito, ne ho fatto alcune fotocopie) racconto la storia di questo episodio; il secondo, intitolato L’armonia di Ildegarda, si trova insieme ad altri saggi nel volume Libere di esistere, pubblicato dalla SEI, nel 1996 (che abbiamo in Libreria), che, sempre attraverso un’ampia scelta di lettere scambiate con monache e badesse, mostra l’armoniosa visione che Ildegarda aveva dell’universo, delle corrispondenze fra cielo e terra, fra Dio e gli esseri umani, fra macrocosmo e microcosmo.

 

Sentendomi inadeguata, non ho osato avvicinare Ildegarda nella profondità e nell’estensione delle sue conoscenze, mi sono rivolta all’epistolario, convinta che fosse l’unica possibilità accessibile a me, rappresentasse cioè una dimensione più raggiungibile; ma soprattutto perché le centinaia di lettere che si conservano, insieme alle risposte ad esse, sono una testimonianza preziosa della sua tenace volontà di mettersi in relazione con altre e altri.

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