9 Agosto 2020
La Stampa

Morta Franca Valeri, addio alla signora dello spettacolo

di Raffaella Silipo


La prima vera voce femminile autonoma della scena italiana. Con la morte oggi di Franca Valeri scompare un simbolo, oltre che una grandissima attrice e una signora colta, ironica, di gusto. Aveva appena compiuto cent’anni, era nata il 31 luglio 1920 a Milano, di buona famiglia di origine ebraica, vero nome Franca Maria Norsa. Sin dal suo debutto nel 1948, con il nome d’arte, derivato dal poeta francese Paul Valéry, «perché mio padre non voleva facessi teatro», aveva interpretato i vizi, i mutamenti, le debolezze di una società in trasformazione e poi decadenza, creando icone popolari come la Signorina Snob o la Sora Cecioni, uno strepitoso successo di cui a lungo si è sentita prigioniera.

La sua satira era capace di sedurre gli intellettuali e il pubblico più popolare, in un percorso che nasce nel dopoguerra e dal sodalizio con Vittorio Caprioli (poi diventato suo marito) e Valerio Bonucci con cui diede vita nel 1951 ai “Gobbi”, creatori di un nuovo modo di fare cabaret che ebbe anche un travolgente successo a Parigi. Insieme a Caprioli non solo teatro ma anche cinema (da «Leoni al sole» a «Parigi o cara»). Ma è nel duetto con Alberto Sordi che tira fuori tutta la sua grinta e il suo talento senza farsi mai mettere in ombra dal mattatore. Basti pensare a «Piccola posta» (1955), di Steno, dove è Lady Eva, sedicente aristocratica polacca che da un rotocalco femminile dispensa consigli d’amore alle lettrici, e lui è un losco figuro. O «Il segno di Venere» del 1955 di Dino Risi (dove tiene testa a una bellissima Sophia Loren nei panni della cugina milanese calata a Roma e Sordi è un personaggio che vive di espedienti) o «Il vedovo» (1959) dove è una manager milanese cinica e spietata e lui un marito nullafacente e mantenuto che lei umilia: “Cretinetti”.

La popolarità arriva con la radio e poi la tv dove divenne una delle attrazioni dei varietà firmati da Antonello Falqui. È l’epoca della romana Sora Cecioni, pigra e di cattivo gusto nella sua irruenza, lanciata da Studio uno e diventata un piccolo classico, assieme alla sofisticata Signorina Snob, che per la sua creatrice «non era la figurina di uno sketch, ma qualcosa di vero e vissuto in cui traspare anche la tragedia dello snob, quella di non riuscire a adeguarsi alla realtà che lo circonda». In tv, più avanti, prenderà anche parte ad alcune fiction, dalla sit-com con Bramieri «Norma e Felice» sino ancora nel 2000, ottantenne, accanto a Nino Manfredi in «Linda, il brigadiere e…» su Raiuno.

Ma la Valeri non è stata solo un’interprete: negli anni ’70 comincia a scrivere e interpretare commedie proprie cui tiene moltissimo, da «Lina e il cavaliere» a «Meno storie» o «Tosca e altre due» (divenuta anche film nel 2003) e «La vedova Socrate» che sta portando adesso in tour Lella Costa. «Il cambio dei cavalli» del 2014 indaga il passaggio tra generazioni e la vede in scena sino a 94 anni a Spoleto col partner sodale Urbano Barberini e il regista Giuseppe Marini, nonostante la lotta col morbo di Parkinson, che già la affliggeva. E poi ci sono i libri, dal «Diario della signorina Snob» (illustrato da Colette Rosselli, Mondadori, 1951); a «Toh, quante donne!» (Mondadori, 1992); da «Animali e altri attori. Storie di cani, gatti e altri personaggi» (Nottetempo, 2005) a «L’educazione delle fanciulle. Dialogo tra due signorine perbene» (Einaudi, 2011) con Luciana Littizzetto.

Nel frattempo aveva iniziato seriamente a darsi alla musica appoggiata dal suo nuovo compagno, il musicista Maurizio Rinaldi, sia come regista lirica, sia dando vita al concorso Battistini per giovani cantanti. Ha lavorato fino all’ultimo: «È il mio modo di ripagare l’affetto della gente». Nella sua autobiografia «Bugiarda no, reticente» scriveva con orgoglio: «La nostra generazione era preparata. La preparazione non è solo forza fisica, è indubbio che noi siamo più robusti dei giovani, l’esercizio è soprattutto di genere morale».


(La Stampa, 9 agosto 2020)

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