28 Novembre 2014
LE MONDE

Natale fraterno in trincea

È di questi giorni lo spot di una marca di cioccolato che rievoca una delle tregue natalizie della Grande Guerra, quella del 1914 sul fronte anglo-tedesco. Su You tube, ha fatto un record di visualizzazioni: 25.000 nelle prime dodici ore. Qualcosa su cui vale la pena di interrogarsi: perché tanti clic? Per desiderio di pace? Desiderio di non sentirsi impotenti di fronte alla macchina della guerra, di pensare che fermarla è possibile, che c’è un’alternativa all’imbracciare le armi, un’alternativa a portata di tutti, anche dei singoli soldati? Perché la tregua mostrata nel video è una sfida a calcio? Non lo sappiamo, ma sappiamo che nella prima guerra mondiale queste tregue non sono state casi isolati, come dimostra Anna Bravo nel suo libro «La conta dei salvati» (Laterza, 2013) e l’interessante articolo di Le Monde di cui riproponiamo una parziale traduzione. Perché si sappia che, persino dal dentro dentro della guerra, si può fare qualcosa contro la guerra.
(La Redazione)

di Nicolas Offenstadt

 

Per chi non apprezza il carattere convenzionale o familiare delle feste di Natale, il 2014 offre l’occasione di una celebrazione alternativa. L’agenzia turistica scozzese Mercat Tour propone ai suoi clienti un circuito sui campi di battaglia del Belgio intitolato «Centenario della tregua di Natale» (Christmas Truce). Un programma più complessivo – non meno di quindici pagine -raccoglie gli eventi commemorativi previsti sullo stesso tema per il dicembre 2014: proiezioni, esposizioni, concerti e partite di calcio. Questa iniziativa in particolare ha lo scopo di celebrare le scene di fraternizzazione, che si caratterizzarono tra l’altro per qualche incontro sportivo. Il film di successo di Christian Carion, Joyeux Noël («Buon Natale», 2005), ha contribuito da qualche anno a riportarle alla memoria.

Quegli episodi di fraternizzazione si svolsero in particolare su una larga parte del fronte anglo-tedesco. L’ex-combattente Alexandre Renaud, in Chair à canon («Carne da cannone», 1935), porta la testimonianza di uno di questi scambi pacifici. I tedeschi della trincea di fronte lanciarono dei razzi e si misero a cantare, «poi, quel canto ci ha contagiati a nostra volta e il coro ha ripreso contemporaneamente nelle due trincee ». Gli echi canori si estendono, e gli uni e gli altri si mandano regali da una trincea all’altra, scambiando würstel con cioccolato. «Adesso che per qualche ora quelli di fronte non sono più dei nemici, aleggia un po’ di gioia nell’aria e la neve sembra meno fredda». Su iniziativa dei tedeschi, i soldati escono dalle trincee per incontrarsi: «tutti fischiettano allegramente, si fuma, si ride: è Natale, la tregua di Dio.».

Non bisogna però concludere che quello sia stato un episodio eccezionale della Grande Guerra. Il modo in cui oggi l’attenzione si focalizza sul ricordo di quella fraternizzazione del Natale 1914 rischia di celare una pratica ordinaria della guerra di trincea. Su molti fronti, occidentali e orientali, come tra austriaci e italiani, i combattenti si sono sforzati di limitare il livello e i momenti della violenza, pratica che lo storico britannico Tony Ashworth ha definito “vivere e lasciar vivere”.

Aspirazioni rivoluzionarie e lotta per la pace mescolate

 

In molte zone del fronte, quando non ci sono in corso attacchi o operazioni, gli uomini in effetti cercano di preservare la calma, nel limite del possibile. Tanto più che a volte le linee sono davvero molto ravvicinate. Questi tentativi prendono la forma di “tregue tacite” o di cannoneggiamenti ritualizzati, che tutti sanno più o meno quando aspettarsi. Talvolta i soldati si scambiano frasi a distanza, oppure ognuno esce dalla sua trincea per fortificare o riparare le postazioni, o per gironzolare senza atteggiamenti ostili. E infine succede, come nelle famose tregue di Natale, che si fraternizzi realmente attraverso un’interazione, soprattutto quando su un fronte o sull’altro qualcuno conosce la lingua del nemico. Gli uomini allora si scambiano notizie, condividono tabacco e viveri e si fanno delle fotografie. Sono arrivate fino a noi molte foto in cui i nemici posano insieme. Ci sono testimonianze di questi episodi su tutta la durata del conflitto, già prima del Natale 1914. Come ha osservato Rémy Cazals (Frères de tranchées – “Fratelli di trincea”, 2005), nell’insieme le pratiche di tregua e fraternizzazione, oltre a rappresentare un momento di sollievo, dimostrano una capacità di resistenza dei soldati alla propaganda contro il nemico e all’“imbarbarimento” della guerra. Ma il clima può farsi rapidamente teso. L’atteggiamento del sergente André Letac, nel Natale 2014, lo illustra bene: «In breve, vediamo sfilare una processione. I tedeschi usciti dai loro buchi bighellonano con delle lanterne in mano sulla spianata e portano bevande calde alle loro sentinelle. Malgrado l’ordine, faccio immediatamente aprire il fuoco.»

 

Certi combattenti vedono in queste tregue qualcosa di più di una limitazione provvisoria della violenza. È il caso di Louis Barthas, bottaio dell’Aude, che scrive per il 1915: «Chissà! Forse un giorno in quest’angolo dell’Artois verrà innalzato un monumento per commemorare questo slancio di fraternità tra uomini inorriditi dalla guerra che venivano obbligati ad ammazzarsi reciprocamente contro la loro volontà». In effetti, con il prolungarsi della guerra nelle dure condizioni delle trincee, molti soldati di tutti gli eserciti chiedono la fine del conflitto. Nel movimento operaio, tra gli intellettuali, passata la fascinazione del 1914 per le rispettive Union sacrée, molti gruppi, più o meno radicali, lottano per cessare le ostilità e ottenere la pace. In Inghilterra, viene creata la Union of democratic control (1914); nel movimento operaio, le conferenze di Zimmerwald e di Kienthal (1915 e 1916) sottolineano questo impegno, mentre all’Aia viene organizzato, non senza difficoltà, un congresso delle donne per la pace. Ovunque si mescolano aspirazioni rivoluzionarie e lotte per la pace, e i bolscevichi fanno della pace una delle loro principali parole d’ordine. Durante il conflitto, la libertà d’espressione delle correnti pacifiste è spesso limitata dalle condizioni giuridiche e politiche dello stato di guerra: dalla censura, ma anche dal peso dei discorsi dominanti.

 

Sviluppo generale dei movimenti pacifisti

 

Con la fine delle ostilità – e il loro terrificante bilancio – le critiche e le lotte del tempo di guerra si trasformano in una generale crescita dei movimenti per la pace, basati soprattutto sulla Società delle Nazioni (1919). È l’epoca della fondazione di molteplici leghe e associazioni, per la pace, per il disarmo, per l’obiezione di coscienza, come la radicale Internationale des résistants à la guerre, IRG/WRI, che esiste ancora. Gli ex-combattenti, milioni in tutta Europa, vi svolgono un ruolo attivo, con sfumature molto diverse a seconda dei paesi. Anche le chiese partecipano al rinnovamento dei pacifismi. C’è chi fa appello a un’unione degli Stati europei, come il movimento Pan-Europa fondato dal conte austriaco Coudenhove-Karlergi. Tra francesi e tedeschi, questa militanza degli anni ’20 in favore della pace trova uno sbocco ufficiale, non privo di ambiguità, nella cosiddetta “era Briand-Stresemann” (dal nome dei due politici che dirigono la politica estera di Francia e Germania), che si contraddistingue proprio per un progetto di Stati Uniti d’Europa (1929-1930).

 

Ma il pacifismo presenta diverse posizioni, più o meno radicali, sia sulle questioni militari, sia sulle relazioni internazionali. Lo scrittore ed ex-combattente Jean Guéhenno scrive così: «È uno dei pericoli più reali di questi tempi che ciascuno si dichiari, si creda pacifista, senza però esserlo […] Essere delle “anime belle” non significa affatto essere pacifisti» (Europe, 1930). Un pacifismo “integrale”, nato dalla guerra, fa della pace la priorità assoluta. Il dibattito assume toni drammatici quando il fascismo, e i nazisti in particolare, conducono una politica aggressiva, quando in Spagna la Repubblica imbraccia le armi per difendersi (1936-1939). Poiché come democratici, come socialisti, come si può conciliare il pacifismo intransigente, il “mai più” dell’indomani del ’14-’18, con l’antifascismo attivo? Le prese di posizione si declinano allora in una molteplicità di distinguo e le discussioni tra i militanti pacifisti diventano aspre. I ricordi della guerra di trincea, delle sue sofferenze, premono con tutto il loro peso sulle prese di posizione – o sulla loro assenza – di fronte all’espansionismo fascista. È stato detto che i pacifisti si sono dati daffare per evitare Verdun negli anni ’30, per sottolineare la loro incomprensione dei nuovi pericoli. È un troppo facile giudizio del senno di poi. Ma è certo che la Grande Guerra ha trasformato durevolmente la percezione delle guerre, e ne ha profondamente scosso la legittimità.

 

 

Versione integrale in francese:

http://www.lemonde.fr/centenaire-14-18/article/2014/11/12/noel-fraternel-dans-les-tranchees_4522327_3448834.html

 

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