27 Marzo 2016
Il Sole 24Ore

No all’utero affittato

di Lucetta Scaraffia

La questione dell’utero in affitto sta aprendo molteplici fronti di riflessione nel dibattito europeo, vivace e talvolta anche aspro. Il libro di Luisa Muraro, filosofa che si dichiara fin dal titolo contraria a questa pratica, si muove esclusivamente all’interno del pensiero femminista. Muraro si oppone a questa possibilità, anzitutto negando il legame – da molte rivendicato – fra la libertà di affittare l’utero e quella di abortire, libertà considerata capostipite di ogni rivolta femminista. Scrive infatti che nell’affitto si tratta invece «di subordinare la fecondità a un progetto di altri». Il punto di vista assunto è quello della donna che presta il suo corpo a una gravidanza per altri, o anche della “creatura piccola” che deve fare il lavoro di inserimento nella famiglia umana, dando meno spazio a quello dei genitori che desiderano il figlio pur non potendolo partorire.

Questa scelta può stupire chi conosce l’attenzione per il desiderio che ha sempre contrassegnato la riflessione di Muraro, ma in questo caso la filosofa osserva che non solo la nuova creatura arriva «in forza del desiderio degli aspiranti genitori» ma anche «per mezzo dei loro soldi». Grazie a una «autorizzazione del mercato», forma di legalizzazione data «dai soldi pagati, anzi dal contratto commerciale»: una strada della quale si conosce, «per certo, soltanto quello che risulta dalla storia della schiavitù».

In questo modo gli aspiranti genitori tolgono alla madre il diritto di rivendicarsi tale, mettendo in luce l’aspetto meno accettabile di questa pratica: diventare «un attacco demolitore della relazione materna». Proprio quella relazione che «ha dato un’impronta di civiltà alla convivenza umana» e ha il suo fulcro nel rapporto che si stabilisce nei mesi di gravidanza e con il parto, seguiti da cure affettuose nei primi mesi e anni di vita. Si sa bene che esistono casi in cui questa relazione viene interrotta, ma Muraro si oppone all’idea che si possa programmare la sua interruzione senza necessità.

«Qui non si tratta di proibire, si tratta di non sbagliare» afferma la filosofa, che guarda con la massima attenzione alla dimensione simbolica, aggredita in modo irrimediabile, e a quel rispetto sacro del corpo femminile che ha caratterizzato tradizionalmente le culture perdute. Perché non dobbiamo dimenticare – ribadisce Muraro – che di suo «la maternità costituisce un’incolmabile asimmetria tra donne e uomini, in quanto tutte, e tutti, nascono da una donna». Negando importanza alla relazione materna ci muoviamo quindi nella direzione di una grigia uguaglianza nei termini neutro-maschili, dimostrando ancora una volta quale aspetto mutilante può rivelare questa parità.

Muraro vuole indurci a pensare a quello che facciamo anche prima di farlo, a non giustificare il male fatto perché tanto ormai esiste, oppure perché ormai ci abbiamo fatto l’abitudine. Ed evitare che accada quello che, qualche decennio fa, aveva lucidamente previsto Jacques Ellul: che ogni innovazione rifiutata in un primo momento venisse accettata cinque anni dopo, perché ormai considerata come lecita e acquisita.

Luisa Muraro, L’anima del corpo. Contro l’utero in affitto, Edizioni La Scuola, Brescia, pagg. 86, € 8,50

(Il Sole 24 ore, 27 marzo 2016)

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