4 Giugno 2023
Corriere della Sera - Napoli

No, l’omicida di Giulia non è un «mostro»

di Antonio Polito


Non è facile dirlo, ma la madre di Alessandro Impagnatiello, l’omicida di Giulia Tramontano e del bambino che portava in grembo, ha torto quando afferma che il figlio «è un mostro». Capisco il suo dolore per averlo scoperto capace di fare qualcosa di così aberrante, ma se fossero solo i «mostri» a uccidere le loro compagne, le loro mogli, le loro ex, allora non ci troveremmo di fronte a un enorme problema sociale e culturale, che nel nostro Paese ha assunto dimensioni di massa. Se la madre dell’assassino avesse ragione, dovremmo concludere che qui da noi entra in azione un «mostro» ogni due giorni, perché tanti sono i femminicidi in Italia (almeno quelli riusciti, dei tentativi falliti o non denunciati, delle botte e delle ferite inferte non c’è conto possibile).

Sono morte per mano di uomini circa 600 donne negli ultimi quattro anni, 150 delitti ogni anno.

E so che non è facile dire neanche questo, ma la Gip di Milano che ha messo in carcere Impagnatiello ha ragione, tecnicamente, quando esclude le aggravanti della premeditazione e della crudeltà; nel senso che l’assassino non ha avuto bisogno neanche di programmare il delitto perfetto, e neanche di agire in preda a un raptus, ma si è sbarazzato quasi con naturalezza della sua compagna, come a risolvere un problema della vita quotidiana, a liberarsi di un peso e a tornare a godersi la sua gioventù dorata. Quando dichiara di «aver agito senza un reale motivo ma perché stressato dalla situazione che si era venuta a creare», Alessandro Impagnatiello ci dà la cognizione esatta del male che si annida nelle relazioni tra gli uomini italiani e le donne, e della banalità di quel male; che certo non spinge tutti a uccidere, ma in tutti noi è un tratto costitutivo della nostra virilità, latente e sempre pericoloso. Come ha ben scritto ieri su questo giornale Gabriella Ferrari Bravo, Alessandro ha ucciso madre e nascituro per poter dire «ora sono libero…». Perché gli uomini italiani credono che questa «libertà» di disporre delle donne, di averle in pugno con l’alibi dell’amore, di metterle al servizio del proprio piacere o anche semplicemente della propria tranquillità, sia un diritto di nascita, conferito loro dalla genetica che li ha fatti maschi.

Mi dispiace, ma tutti i discorsi contriti che si fanno dopo ogni femminicidio (anche se ormai sono talmente la norma che solo casi di particolare efferatezza come quello che è costato la vita a Giulia Tramontano suscitano davvero lo sgomento dell’opinione pubblica), non servono a nulla se non mettono il dito su questa piaga culturale, tipica della nostra peculiare storia di popolo mediterraneo. E cioè sul senso di superiorità maschile che ci anima nella relazione con l’altro sesso, non solo nella vita di coppia ma anche nella vita sociale. Ci crediamo in diritto di avere di più, rispetto a una donna. E l’ondata di violenza che ci sta travolgendo è frutto proprio di questa convinzione, ogni volta che essa viene a contatto, e a contrasto, con il mutato comportamento delle donne dei nostri tempi. Le quali non sono più disposte ad accettare come le loro mamme e nonne di restare a fianco dei compagni anche se maltrattate, picchiate, tradite, ignorate, confinate nella cura dei figli. E non appena lo dicono, gli uomini avvertono la loro «ribellione» come una lesione della propria libertà, e trovano ingiusto non poter più fare tutto ciò che a un uomo pensano debba essere concesso di fare. Si stressano, insomma. Ci stressiamo. Tutti. Anche quelli di noi che non reagiscono con la violenza.

È per questo che non si tratta di una «devianza» di pochi, ma di un fenomeno culturale, diffuso e di massa. Non è roba da mostri, ma da normalissimi uomini italiani. Baristi come Impagnatiello ma anche professori, operai e intellettuali, laureati e analfabeti. Le donne italiane sono cambiate. Gli uomini no. Questo è il problema. A questo dobbiamo porre rimedio. E spetta a noi maschi. E sarà un lavoro lungo, e costerà altre vittime. Ma se non siamo onesti con noi stessi nel capire dove nasce il male, non potremo neanche cominciare a curarlo.


(Corriere della Sera – Inserto di Napoli, 4 giugno 2023)

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