1 Febbraio 2016
Corriere della sera

“Noi valutiamo il caso concreto ma la scelta della bigenitorialità spetta la Parlamento”

“La redazione del sito ha corretto due errori gravi del testo originale”

di Virginia Piccolillo

Panzani e le lodi alla sentenza sull’adozione lesbica: la legge serve, ma noi possiamo già intervenire

ROMA Luciano Panzani lei, da presidente della Corte d’Appello di Roma, durante la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario, ha lodato come «bella ed equilibrata» una sentenza che consentiva ad una donna di adottare la figlia della partner. Perché?
«Perché era una sentenza ben fatta, ben motivata e non sposava tesi».
Nemmeno la tesi di chi chiede la «stepchild adoption», contenuta nel ddl Cirinnà in discussione?
«Noi valutiamo il caso concreto. Questo riguardava la madre naturale e l’istanza della compagna che aveva con la bambina una relazione affettiva. La Corte ha ritenuto che, nell’interesse del minore, potesse essere data risposta positiva. Ma secondo una possibilità che, in casi particolari, già oggi c’è».
Il caso dell’adozione del figlio del partner dello stesso sesso, però, è proprio quello di cui si discute. Questa sentenza sembra dare un via libera alla legge. È così?
«No, nella motivazione c’è proprio scritto che la sentenza non si pone il problema di carattere generale che deve risolvere il legislatore. E che la legge consente l’adozione del minore se non è in stato di abbandono, quando c’è un rapporto affettivo, e nell’interesse psicofisico dei figli, senza che ciò possa significare riconoscimento di una bigenitorialità».
Citandola alla vigilia del dibattito ha voluto supportare le richieste delle coppie lesbiche?
«No, no. È una coincidenza, la relazione l’ho scritta tempo fa. E citavo la sentenza per dire che i giudici hanno un grande carico non solo quantitativo, ma anche qualitativo. Ho detto che la scelta della bigenitorialità spetta al Parlamento. Noi applichiamo la legge. Ma quando arriva un caso dobbiamo decidere».
La sentenza apre la via all’adozione di bimbi nati da un «utero in affitto»?
«Non c’entra nulla. La norma si applica nel caso in cui uno sia il genitore naturale».
C’è chi teme, o spera, che la legge porti in quella direzione. Poi due partner maschi potrebbero programmare la maternità surrogata sicuri di poter adottare il bambino nato.
« Lo vedo molto complesso e poco opportuno. C’è stato un corto circuito mentale, su questo tema, da entrambe le parti. Prima viene l’interesse del minore e poi il desiderio di paternità. È brutale, ma bisogna dirlo… Non si può arrivare a ordinare un bambino, come si va a comprare un cucciolo».
C’è chi rivendica famiglie stabili e felici nate così.
« Certo. E a distanza di tempo, e in presenza di un rapporto stabile, meglio lasciare lì i bambini. Ma nella nostra legislazione non si può disporre né della donna, né del piccolo».
E se la donna acconsente?
«Anche se stipula un contratto commerciale il figlio è suo. Ha il diritto di abortire. O di ripensarci. E il bambino ha il diritto ad avere una madre e, se abbandonato, ad un affido e poi all’adozione. Per scegliere la soluzione migliore per lui».
La soluzione migliore prevede sessi diversi?
«Oggi è così. Si pensa all’identificazione che i bambini hanno un po’ con l’uno un po’ con l’altro. Ma anche se domani si decidesse diversamente non verrebbe tolto l’ostacolo all’utero in affitto. Mancano le garanzie: an che le adozioni internazionali quando c’è il sospetto di operazioni commerciali vengono bloccate. Se si pensasse di arrivare con il neonato della mamma surrogata il bimbo potrebbe essere bloccato o dato in affido».

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