23 Novembre 2014

Non datele ragione, ascoltate invece le sue precise parole: il discorso di Nurit Peled

 

L’11 sett. 2014, a Strasburgo, Nurit Peled-Elhanan ha parlato al Parlamento europeo riunito in sessione straordinaria su Gaza. Riportiamo alcuni passi del suo discorso.

Non datele ragione, ascoltate invece le sue precise parole. Sono una denuncia della tremenda aggressione fatta l’estate scorsa dallo stato d’Israele alla “striscia” di Gaza, un lembo di costa mediterranea ancora palestinese e intensamente popolato. Ma sono anche una dura critica rivolta ai paesi europei (a noi).

Lei, ebrea israeliana, è impegnata perché ci sia finalmente giustizia per la Palestina e i suoi abitanti; perciò nel 2001 ha ricevuto il premio Sakharov. Noi europei, che bravi! Ai buoni diamo anche i premi, per non pensarci più.

Se ci sembra quasi impossibile dare una pace giusta agli abitanti di quella regione, ebrei e arabi e altri, la giustizia di prestare attenzione ai torti patiti dal popolo palestinese, questa possiamo farla. Ringraziamo le persone che ci aiutano in tal senso, come Luisa Morgantini, Maria Nadotti, Giorgio Forti. E ricordiamo Adele Manzi, che ha passato la sua vita nei campi profughi organizzando, con donne palestinesi, attività culturali e commerciali.


Credo che la scelta di tenere questa sessione nella data dell’11 settembre non sia casuale. Gli americani sono riusciti, con il loro talento per la messa in scena e la propaganda, a fare di questa giornata il simbolo del male di tutto il mondo. Ma oggi ricordiamoci che, negli ultimi due mesi, Gaza ha subito cinquantadue “11 settembre”, e altri ancora in precedenza.

 

I palestinesi non hanno i mezzi degli americani e degli israeliani per far conoscere e celebrare le loro sofferenze, così come per fare dimenticare i loro crimini.

 

Quello che c’è stato negli ultimi dodici anni a Gaza e che ha raggiunto il suo culmine durante il ramadan di quest’estate, non è niente meno che un olocausto. Non un’operazione, non una guerra, ma una distruzione deliberata di una società vivente. Una guerra è tra due Stati e due eserciti che si affrontano. Ma qui c’è uno Stato potente, la cui dottrina è di considerare come proprio nemico tutta una nazione… uno Stato che sostiene che è lecito uccidere donne, bambini e persone anziane per dare un avvertimento ai dirigenti di questa nazione nemica, e per ricordare loro chi è che comanda; uno Stato che sostiene, con un messaggio ugualmente orribile, che la vita dei propri soldati vale più della vita dei bimbi del nemico, e questo con l’incoraggiamento dei capi spirituali, religiosi, politici…

Dunque, sino a che qualcuno non trova un termine più adeguato a queste atrocità, olocausto è il termine che io suggerisco di utilizzare, con tutte le sue connotazioni di razzismo, crudeltà e soprattutto di indifferenza del resto del mondo.

 

L’anno scorso ero qui per il venticinquesimo anniversario del premio Sakharov…Ma ogni volta che ho ricordato Israele e la Palestina, la risposta è stata “è un caso a parte”. In effetti lo è e la domanda diventa: perché mai? Perché in altri casi i criminali vanno portati davanti ai tribunali e le vittime sono invitate a testimoniare, mentre in questo caso le vittime sono costantemente biasimate per la loro miseria, e gli autori dei crimini godono di una totale impunità? Perche gli Stati dell’Unione europea fanno tutto quello che possono per impedire alle vittime di sporgere denuncia contro i carnefici? Perché, invece di mettere in questione l’educazione al razzismo che trasforma delle belle ragazze ebree e dei ragazzi ebrei in assassini in uniforme, il Parlamento europeo non fa che revisionare, controllare e censurare il sistema educativo delle vittime?

 

Si dice sempre che il mondo, ossia l’Occidente, non ha imparato la lezione dell’Olocausto e dell’ 11 settembre… La lezione avrebbe dovuto essere mai più, da nessuna parte, per nessuno.

Mi pare che il mondo abbia imparato un’altra lezione. Ha imparato che si può commettere un genocidio e cavarsela, se si fa a quelli di cui il mondo non s’interessa per nulla.

La scusa utilizzata dall’Occidente e in particolare dall’Europa per non interferire, per non disciplinare l’espansione selvaggia di Israele, per non esigere la fine del suo sistema di apartheid e la sua mancanza di rispetto del diritto internazionale, è che gli europei non vogliono essere chiamati antisemiti. E’ una ben misera scusa, perché sappiamo tutti che ogni paese europeo trae profitto dall’occupazione israeliana della Palestina, ogni uno.

Ma io non intendo parlare ai politici e agli uomini d’affari, essi non capiscono la mia lingua. Io vorrei convincere le persone in buona fede che credono veramente che la loro denuncia dei crimini israeliani contro i palestinesi farebbe del male agli ebrei. A queste persone dirò due cose. Non c’è niente di ebraico nel comportamento razzista e crudele di Israele verso i palestinesi… E poi, non potete permettere che si ricorra a questa scusa quando dei bambini vengono massacrati: non possiamo preoccuparci di come la gente ci chiama quando un olocausto imperversa. Io stessa non posso permettermi di aver paura delle persone che mi trattano da traditrice per aver difeso gli oppressi, anche se, per questa accusa di tradimento, si può morire.

Nessuno, del resto, è morto per essere stato chiamato antisemita. Per contro ci sono bambini con i loro genitori e nonni che stanno morendo, mentre io parlo, perché sono chiamati palestinesi, non per altre ragioni, proprio come gli Ebrei sono stati sterminati semplicemente perché erano chiamati ebrei. E l’Europa, che aveva girato le spalle agli Ebrei allora, oggi gira le spalle ai Palestinesi.

 

Dovremmo tutti noi chiederci oggi: in che genere di mondo vivremo dopo l’olocausto di Gaza? Che genere di persone cresceranno sulle sue ceneri, che genere di persone ci risponderanno dall’altra parte del muro?

….


Le ultime parole citate alludono a qualcosa che Nurit Peled sceglie di non esplicitare per motivi che si intuiscono. Diciamola noi: non la cultura arabo-mussulmana ma i paesi occidentali (Usa e Ue) e Israele hanno la maggiore responsabilità nell’insorgenza dell’estremismo islamista, con la loro politica verso la Palestina e i suoi abitanti. (Note della redazione)


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