26 Marzo 2014
il manifesto

Non obiettori, la verità vi prego sulla 194

di Sandra Morano

 

Per un po’ abbiamo pen­sato che la nostra coe­renza potesse vin­cere tutto, e per sem­pre. Da tempo, però, l’applicazione della 194 si ritorce, come abbiamo visto, con­tro i pochi non obiet­tori rima­sti. Sto­rie simili a quelle di Ros­sana Cirillo sono la regola in molti ospe­dali, con la paura di ritor­sioni, la pena­liz­za­zione della car­riera e l’imbarazzo per epi­sodi simili a quelli rac­colti da Chiara Lalli («La verità vi prego sull’aborto»). La spe­ranza, dice Ivan Cavic­chi, è che sta­volta altre voci si fac­ciano sen­tire, che non cali la ten­sione pas­sata la notizia.

Di que­sta legge si parla, a cor­rente alter­nata, da tempo, ma un miglio­ra­mento nell’applicabilità sem­bra limi­tato a solu­zioni orga­niz­za­tive (mobi­lità, incen­tivi a vario titolo), e subito are­nato di fronte al tabù dell’obiezione di coscienza. «Noi non c’eravamo, ma ce lo hanno rac­con­tato. Nel 1978, per la prima volta in ambito medico, veniva richie­sta agli ope­ra­tori del Ssn una pre­sta­zione fino ad allora non pre­vi­sta dal loro con­tratto. Da quel momento in avanti chi ha scelto di fare il gine­co­logo sapeva benis­simo che avrebbe dovuto fare i conti con l’interruzione di gra­vi­danza. La domanda che ci siamo poste, ancora stu­den­tesse di medi­cina, non era “Obietto o non obietto?”, bensì “Fac­cio la gine­co­loga o no?”, ben sapendo che sce­gliere di fare la gine­co­loga signi­fica sapere stare al fianco delle donne in qual­siasi situa­zione, per­ché la gine­co­loga è il medico della donna, non dell’embrione, non del feto, non del bam­bino». Roberta, Fran­ce­sca, Marian­gela, spe­cia­liz­zande degli ultimi anni, così gio­vani, salo­mo­ni­ca­mente, hanno scelto di accom­pa­gnare le donne pro­prio nell’accidentato per­corso della com­pe­tenza ripro­dut­tiva, così potente e ancora così miste­riosa, che appare e scom­pare a dispetto di desi­de­rio, con­trac­ce­zione, pre­ven­zione, come ben sa anche chi si occupa di infertilità.

Negli anni abbiamo visto obiet­tori assunti come non obiet­tori, obiet­tori di fatto di cui sap­piamo per­ché lo dichia­rano, non per­ché siano pub­blici (o pub­bli­ca­bili) i loro nomi. Negli anni abbiamo rispet­tato tutti i tipi di obie­zione, ma è del diritto ad essere non obiet­tori con la stessa dignità di quello ad essere obiet­tori che occorre par­lare, visto che oggi sem­bra più dif­fi­cile appli­care la 194 che vani­fi­carla nei fatti. In attesa di una più ampia discus­sione del pro­blema nelle sedi oppor­tune, cui noi stessi non vor­remmo sot­trarci, ci pia­ce­rebbe, con Cavic­chi, che a livello poli­tico gestio­nale le Regioni fos­sero tenute, davanti ai pro­pri elet­tori, a garan­tire tutti i diritti, dei curati e dei curanti, così come sono tenute ai piani di rien­tro. Si legge di pro­po­ste di crea­zione di unità ad hoc (qual­cuna già esi­stente) dirette da gine­co­logi non obiet­tori. Ma il rispetto della legge 194 non è che una parte del nostro lavoro, e para­dos­sal­mente que­sto ci con­dur­rebbe ad una ghet­tiz­za­zione ancora più vistosa. Per que­sto ogni qual­volta una delle asso­cia­zioni a difesa della 194 pro­muove l’ennesimo con­ve­gno, ecco la nau­sea: è d’obbligo par­lare di cifre, di quante inter­ru­zioni fac­ciamo noi che fac­ciamo inter­ru­zioni. Non abbiamo biso­gno, nell’impegno quo­ti­diano, che, dal mini­stro a qual­che asses­sore a qual­che sin­da­ca­li­sta “di sini­stra”, ci si orga­nizzi la lista ope­ra­to­ria o la mobi­lità (quale rico­no­sci­mento migliore alla nostra “osti­na­zione” nella appli­ca­zione di una legge dello stato?) come solu­zione alla inca­pa­cità di inqua­drare la 194 nell’ambito della più ampia gover­na­bi­lità del Sistema sani­ta­rio e della Sanità del paese. Ammi­ni­stra­tori e poli­tici sostan­zial­mente assenti, impro­ba­bili fau­tori di quel per­corso nascita a parole tanto sban­die­rato, incu­ranti della ver­ti­gi­nosa discesa dell’indice di fer­ti­lità in pochi decenni, par­lano di “diritti”(la 194 non si tocca, poten­ziare la pre­ven­zione, pre­ve­nire le “reci­dive” delle Ivg, ecc.), senza riflet­tere su quanto siano lon­tani dalla vita reale, su quanto sia com­plesso averci a che fare, con quelle com­pe­tenze: con­ce­pire, par­to­rire, alle­vare un bam­bino, riman­dare, non avere paura della mater­nità. Di che cosa ci sia prima e dopo quella scelta – o non scelta – in ter­mini di costi, di biso­gni in gra­vi­danza e dopo, di come si possa lavo­rare, e con chi, intorno a poli­ti­che glo­bali, e cul­ture, e impe­gni isti­tu­zio­nali, per faci­li­tare quelle nascite, e quei parti che a parole vor­remmo spon­ta­nei (l’endemia dei tagli cesa­rei in Ita­lia si risolve perio­di­ca­mente in com­mis­sioni mini­ste­riali che regi­strano l’esistente dal punto di vista delle Società scien­ti­fi­che, e in azioni lasciate al buon cuore di que­ste ultime, che garan­ti­scono, a pro­clami incro­ciati, che i tagli cesa­rei si azze­re­ranno quando saranno chiusi tutti i pre­sidi al di sotto dei 500 parti, e risolti i timori medico legali).

Che fare? In un momento di medio­crità della poli­tica, e di assenza di poli­ti­che, cre­diamo che pro­prio a pro­po­sito di temi come la mater­nità respon­sa­bile e l’aborto, una pre­senza “forte” della Fnom­ceo (la fede­ra­zione degli ordini dei medici) può fare la dif­fe­renza. L’epilogo della sto­ria pro­fes­sio­nale della mia col­lega è una tri­ste ferita anche per l’Istituto pre­sie­duto con pas­sione da un medico che di diritti se ne intende e che è oggi impe­gnato nel dif­fi­cile com­pito di por­tare anche in Par­la­mento gli impe­ra­tivi di equità, uni­ver­sa­lità, deon­to­lo­gia della cura. Certo, il momento sto­rico non è il più adatto a guerre di reli­gione, e noi siamo i primi a non volerne: dopo­tutto siamo noi che impe­diamo giorno per giorno che nelle regioni in cui lavo­riamo, le Asl non vadano a finire sui gior­nali (e lo dimo­striamo nei Pronti soc­corsi, negli ambu­la­tori, in un momento in cui si parla degli ospe­dali solo come un peso).

Non si vuole toc­care la 194, nes­suno lo vuole, in teo­ria. E’ dove­roso però sco­prire il bluff degli annunci di pre­ven­zione, sicu­rezza, acco­glienza, e rico­no­scere ai medici non obiet­tori la dignità di guar­dare negli occhi le donne reali: quelle incon­trate nelle sale parto, posteg­giate nelle sale d’aspetto o arri­vate nelle sale ope­ra­to­rie: non (solo) per evi­tare, ma anche per com-prendere, com-patire, esserci. Il nostro mestiere, d’altronde. Cre­diamo che a nes­sun orga­ni­smo meglio dell’Ordine dei medici, per quanto com­po­sita sede di media­zioni, si possa chie­dere, mas­si­ma­mente insieme alla sua com­po­nente fem­mi­nile, di farsi inter­prete delle com­plesse ragioni della mater­nità da tra­durre nella ragione della politica .

*Gine­co­loga ricer­ca­trice Uni­ver­sità degli studi di Genova

 

(il manifesto, 26 marzo 2014)

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