14 Dicembre 2018

“Obbedisco” dice il Pd, “No” dicono le femministe

di Marina Terragni

 

Oggi si è tenuta a Palazzo Marino la prima seduta della Commissione consiliare sulla trascrizione dei “due padri”. La seconda seduta si terrà venerdì 14 dalle 13 alle 14.30.
L’aula commissioni era affollatissima, molto folta la rappresentanza di Famiglie Arcobaleno che ha battuto e ribattuto in un gran numero di interventi sul tasto dei diritti dei bambini.
Vale la pena di ricordare che un bambino registrato con il solo padre biologico non è affatto un “fantasma senza diritti”, argomento forte della retorica Rainbow. Un’altra balla grossolana, dopo quella del “dono”.
Così come i figli di donne sole, senza un padre al fianco, hanno sempre e pienamente goduto di tutti i diritti di cittadinanza – sanità, scuola e via dicendo – anche i figli registrati unicamente con il padre biologico non sono deprivati di alcun diritto.
Il compagno del padre biologico – o la compagna, nel caso di coppia eterosessuale – può accedere all’adozione del bambino o stepchild – lo ha fatto recentemente Nichi Vendola – senza pretendere di essere registrato in origine come l’“altro padre”. Due uomini non fanno figli.
Se una “ragazza madre” vuole che il suo compagno, che non è padre biologico del bambino, sia riconosciuto nella sua funzione paterna, può consentirgli di adottare.
Non vi è ragione alcuna perché ai “due padri” sia riservata una corsia preferenziale: si tratterebbe di una discriminazione positiva in base all’orientamento sessuale, in violazione dell’art. 3 della Costituzione che ci vuole uguali davanti alla legge.
Del resto in Francia, in Spagna, in Svezia, dove pure è riconosciuto il matrimonio omosessuale, i due padri non vengono registrati: si registra solo il padre biologico, l’altro può accedere ad adozione, rispettando il diritto del bambino alla verità sulle proprie origini.
Famiglie Arcobaleno contrasta fortemente questa soluzione, e chiede invece il riconoscimento all’anagrafe di una impossibile fantasia di omofecondità.
In quanto Rete contro l’utero in affitto abbiamo esposto molti argomenti, rappresentando peraltro l’opinione della maggioranza della popolazione italiana, come da sondaggio realizzato in crowdfunding un anno fa: trovate i nostri interventi nei filmati che abbiamo condiviso.
Aggiungiamo solo alcune notizie, anche piuttosto sconcertanti: l’Assessora ai Servizi civici Roberta Cocco ha comunicato che attualmente ci sono 4 coppie di “padri” che hanno fatto ricorso a utero in affitto e che chiedono di essere registrati.
Ha aggiunto che viste le recenti sentenze che ordinano la trascrizione, non si ritiene di “dover far perdere altro tempo ai Tribunali” e altri soldi a queste coppie, e si pensa quindi di passare a trascrivere tout court.
Ci ha altresì informato del fatto che gli atti di nascita registrati nei paesi dove questi “padri” hanno acquistato ovociti e affittato uteri non contengono l’indicazione di chi sia il padre biologico: basterebbe la richiesta da parte delle nostre anagrafi di un semplice test del Dna – così, come detto, si fa in Spagna, in Svezia, in Francia – e invece a questi bambini, commettendo uno straordinario sopruso e violando un diritto riconosciuto da ogni Convenzione internazionale sui diritti dei minori, non solo viene tolta la madre ma viene perfino negata la verità sulle proprie origini – verità che ha anche rilevanza dal punto di vista sanitario – per non disturbare la fantasiosa narrazione sull’omofecondità dei “due padri”.
Questo appare mostruoso perché almeno in linea teorica, come verificatosi nel caso dei coniugi Campanelli e in altri casi di Gpa realizzata in particolare in Ucraina, i bambini potrebbero non avere ALCUN legame genetico con i committenti, ed essere stati semplicemente acquistati da una donna povera messa incinta da chissà chi.
Noi non crediamo che il Comune di Milano possa intraprendere questa strada di profonda ingiustizia e continueremo a lottare per i diritti delle donne e dei bambini che il business del biomercato riduce a mezzi di produzione e a merce.

 

(www.libreriadelledonne.it, 12 dicembre 2018)

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