8 Luglio 2014
ingenere.it

Obiezione di coscienza, il vento sta cambiando?

di Federica Grandi

 

Una delibera della Regione Lazio elimina ogni ambiguità sui consultori, dove non si può obiettare allo svolgimento delle attività preliminari all’interruzione di gravidanza. E chiarisce che la contraccezione, compresa quella di emergenza, non può essere oggetto del rifiuto. Restano però da riorganizzare le strutture ospedaliere in modo da non compromettere l’applicazione della 194.

 

A volte può bastare un sussulto per aprire una breccia su questioni che sembrano ormai scontate negli esiti. Ciò può accadere quando un convincimento, che appare latente e/o silente, è invece ben presente nella società e chiede solo di essere incoraggiato o comunque evocato pubblicamente da qualcuno per diventare il punto di vista “altro” rispetto all’opinione che si crede consolidata.

Questo sta accadendo nella vicenda dell’applicazione della legge n. 194 del 1978 sull’interruzione volontaria della gravidanza.

Fino a poco tempo fa, il dibattito pubblico sull’effettività del servizio – a parte qualche eccezione – era concentrato sulla rilevazione dei numeri eloquenti del ricorso all’obiezione di coscienza. La media nazionale di astensioni che sfiorava (e sfiora) circa il 70% dei medici ginecologi sembrava non suggerire altro contegno che una stoica rassegnazione ad una controfattualità vincente rispetto ad un “timido” diritto alla continuità del servizio (art. 9, quarto comma: “Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso a assicurare l’espletamento delle proceduree l’effettuazione degli interventi”), garantito da qualche ginecologo di buona (o cattiva, secondo altri punti di vista) volontà che decideva di accollarsi il costo morale, sociale e professionale della pratiche abortive (chirurgiche e mediche).

Da qualche tempo, invece, sembra che questo sistematico disegno di compressione dei diritti di tutti gli altri soggetti che subiscono la scelta dell’obiettore (ossia donne che vogliono interrompere la gravidanza e personale non obiettore) sia entrato in crisi o, comunque, non goda più di un favore istituzionale diffuso.

Nel 2010, infatti, il Consiglio d’Europa chiamato ad adottare una decisione contro “l’uso sregolato dell’obiezione di coscienza”, stravolgendo la proposta iniziale, approvò una Risoluzione (la n. 1763 del 7.10.2010) di senso completamente opposto che pretese di definire l’obiezione di coscienza come “diritto fondamentale di libertà”, quindi sempre esercitabile anche a prescindere da una legge che la autorizzi.

Il vento è però cambiato. Il Comitato Europeo dei Diritti Sociali ha appena sorpreso tutti con un’affermazione di forte e inequivocabile condanna prima verso l’Italia (ricorso n. 87/2012) – e poi, nondimeno, con specifico riferimento alla Regione Marche – per la mancata garanzia all’accesso all’interruzione di gravidanza, in aperta violazione dell’art. 11 (diritto alla salute) della Carta Sociale Europea.

Gli effetti si sono sentiti anche a livello interno.

In particolare, la Regione Lazio ha deciso di interrompere quell’atteggiamento di ambigua tolleranza rispetto alla generalizzata invocazione del motivo di coscienza a giustificazione del rifiuto di svolgere nei Consultori le attività preliminari all’interruzione della gravidanza. L’allegato 1 della delibera del Commissario ad acta per la Sanità della Regione Lazio (Nicola Zingaretti), “Linee di indirizzo regionali per le attività dei Consultori Familiari NU00152 del 12/05/2014”, sembra voler mettere a tacere ogni dubbio interpretativo circa i soggetti titolari del diritto all’astensione dal servizio, specificando che l’obiezione di coscienza prevista all’art. 9 della legge n. 194 del 1978 è una facoltà esercitabile solo dagli “operatori impegnati esclusivamente nel trattamento dell’interruzione volontaria di gravidanza, di seguito denominata IVG” e, poiché “il personale operante nel Consultorio Familiare non è coinvolto direttamente nella effettuazione di tale pratica, bensì solo in attività di attestazione dello stato di gravidanza e certificazione attestante la richiesta della donna di effettuare IVG , non può esercitare l’obiezione di coscienza rispetto a tale attività. Per lo stesso motivo, inoltre, “il personale operante nel Consultorio é tenuto alla prescrizione di contraccettivi ormonali, sia routinaria che in fase post-coitale, nonché all’applicazione di sistemi contraccettivi meccanici, vedi IUD (Intra Uterine Devices)”.

La presa di posizione della Regione Lazio non è affatto una novità a livello giuridico – per esempio lo stesso principio è stato affermato proprio in tema di organizzazione della rete consultoriale da una nota decisione della seconda sezione del TAR Puglia del 2010 (sent. n. 3477) – ma è comunque un fatto importante a livello istituzionale in un territorio dove la decisa prevalenza dei medici obiettori rispetto agli altri pregiudica, di fatto, l’effettività del diritto all’interruzione della gravidanza.

C’è da dire, poi, che le nuove “Linee guida” non sembrano solo voler risolvere il problema dell’individuazione dei soggetti che possono avvalersi della facoltà di obiezione di cui all’art. 9 della legge 194. Esse, difatti, tradiscono pure l’intento di voler “diradare le nebbie” attorno alla ricorrente assimilazione della contraccezione d’emergenza alle procedure chimiche di interruzione di gravidanza. Come noto, infatti, questa associazione – scientificamente ancora indimostrata – tra contraccezione di emergenza e aborto chimico – entrambi indotti attraverso l’assunzione di un farmaco (“Norlevo” e “Levonelle”, nel primo caso, e la pillola RU486, nel secondo) – ha spesso alimentato la pretesa a riconoscere anche per il primo farmaco l’applicazione della previsione di cui all’art. 9 della legge 194, così come avviene per l’assunzione della pillola abortiva RU486.

Qualcosa inizia a muoversi, quindi, nel complicato mondo dell’attuazione della legge n. 194, del diritto ad abortire e del diritto alla programmazione della procreazione. Molto rimane però ancora da fare, poiché la questione nodale resta irrisolta: sono, infatti, i grandi numeri dei legittimi obiettori italiani all’interno delle strutture ospedaliere che minacciano l’adeguatezza e la continuità del servizio IGV, non tanto e non solo le forme di obiezione contra legem di chi opera nei consultori.

Per intervenire al cuore della questione è, dunque, necessario rivedere l’organizzazione delle strutture ospedaliere affinché il servizio sia prestato effettivamente: ad esempio, con la creazione di ruoli specifici per i non obiettori nei concorsi; oppure – come mi pare più opportuno per garantire il diritto della donna che chiede di abortire come quello dell’obiettore – accompagnando questa clausola di riserva con adeguati interventi sul trattamento economico e sull’avanzamento di carriera per casi in cui i soggetti reclutati dalle strutture ospedaliere nei ruoli dei non obiettori decidano successivamente di diventare obiettori.

La paralisi del servizio difatti è alle porte per l’avvicinarsi del pensionamento della generazione dei medici non obiettori e per la scarsità di personale altrettanto qualificato in grado di sostituirla.

La speranza è quindi che anche questo recente tentativo della Regione Lazio partecipi a preparare le condizioni politiche e culturali per quel forte vento di cambiamento di cui il Paese ha bisogno se non vuole rinunciare all’attuazione della legge 194.

(www.ingenere.it, 8 luglio 2014)

Federica Grandi è autrice del libro Doveri costituzionali e obiezione di coscienza, ed. SC, Napoli 2014.

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