26 Novembre 2015

Occasioni da non perdere

di Tk Brambilla

 

In una scuola di Varese, alcuni studenti, tra cui delle ragazze marocchine e tunisine, hanno messo in discussione il minuto di silenzio per le vittime delle stragi di Parigi. La ragione era dettata dal desiderio di riflettere sul diverso trattamento riservato alle vittime dei massacri quando avvengono in Europa o in paesi non occidentali.

Il modo in cui si è parlato di questa notizia su alcuni giornali e da parte di alcuni commentatori mi ha molto colpita e mi è molto dispiaciuto. Qualcuno ha paragonato il gesto delle studentesse marocchine e tunisine a quello dei tifosi dello stadio di Istanbul. Altri le hanno messe sotto processo come possibili fiancheggiatrici ideologiche dei terroristi, a causa di un capitombolo logico per cui la solidarietà nei confronti di tutte le innocenti vittime viene stravolta e narrata come vicinanza con le ragioni dei carnefici.

La totale incomprensione della questione posta da queste ragazze credo nasca da un comune sentire, perfettamente messo a fuoco da Luce Irigaray nel libro L’ospitalità femminile, per cui la reciprocità dell’ospitalità è diventata accoglienza e, così, la coesistenza è divenuta integrazione.

E ci si aspetta, quando non si pretende, che chi è accolto faccia suo l’orizzonte di chi accoglie, inteso come l’unico possibile.

Queste ragazze invece hanno proposto la condivisione, in questo caso di un dolore, di un lutto, di un sentimento di perdita e lacerazione. La condivisione di un sentire che non nega quello dell’altro ma che chiede di essere riconosciuto, chiede spazio.

Queste ragazze hanno preso parola per dire la loro verità, per esserci come soggetti di una possibile coesistenza e non oggetti di accoglienza.

Non mi stupisce che questa diserzione dalle fila di chi le vuole arruolare nella guerra del “noi” contro “voi” arrivi da giovani di seconda generazione; che le protagoniste siano delle ragazze mi inorgoglisce.

Nella valorizzazione delle differenze, che permette di generare un nuovo mondo in cui coesistere, le seconde generazioni di immigrati possono essere una grande risorsa e avere un ruolo fondamentale.

Sono italo-iraniana e so che noi seconde generazioni di immigrati, proprio per ciò che siamo, continuamente dobbiamo cercare mediazioni tra differenze e non avendo un’unica bandiera o la casa in cui tornare, siamo in una posizione privilegiata nella ricerca di un’identità che trascenda quelle costruite sull’appartenenza nazionale, culturale, religiosa o etnica.

Queste ragazze ci offrono un’occasione che va colta.

 

(www.libreriadelledonne.it, 26 novembre 2015)

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