3 Marzo 2016

Orizzonti Mediterranei e Fuocoammare, due film su Lampedusa

di Anna Di Salvo

 

C’è un film, Orizzonti Mediterranei di Pina Mandolfo e Maria Grazia Lo Cicero, che con le Città Vicine abbiamo presentato al sesto LampedusaInFestival promosso dall’associazione Askavusa, nell’estate 2014, al quale ho pensato in questi giorni, dopo aver visto Fuocoammare di Gianfranco Rosi, salito agli onori della cronaca perché vincitore dell’Orso d’oro alla recente Berlinale.

Ho pensato a Orizzonti Mediterranei per contrasto: qui si coglie la sensibilità di due registe intenzionate a mostrare la realtà, spesso ostile, affrontata da donne che migrano da paesi arabi e africani sino ad arrivare al primo approdo disponibile dell’Europa che dista poche miglia dall’Africa: Lampedusa. Nel film, il punto di vista femminile fa da guida e da tramite per legare tra loro testimonianza e dolore che donne nigeriane, eritree, tunisine, hanno consegnato fiduciose “nelle mani”, in carne e ossa, di Enza Malatino, psichiatra dell’ambulatorio medico dell’Isola. E così si viene a sapere di abusi sessuali e percosse tra i deserti e la Libia, di donne annegate, affamate e calpestate nei barconi e dell’amara accoglienza riservata a donne e uomini prima e dopo l’identificazione e lo smistamento nei vari Cara, Cie e Hot Spot siciliani. Da testimone parla anche Isokè una nigeriana sfuggita ai suoi sfruttatori, che ha fondato un’associazione che aiuta le migranti a sfuggire alla tratta e a sottrarsi ai ricatti e alle minacce dei contrabbandieri di corpi di donne. Pina e Maria Grazia si sono recate spesso davanti ai cancelli del Cara di Mineo per riprendere le scene inquietanti di donne africane che venivano prelevate in certi macchinoni dai protettori per essere portate nelle strade provinciali a prostituirsi. Anche noi delle Città Vicine, che siamo presenti nel film, abbiamo assistito a queste scene al Cara di Mineo, abbiamo cercato di prendere contatti con quelle ragazze senza ottenere grandi risultati, vista la presenza minacciosa dei protettori e abbiamo visto vanificarsi le denunce fatte insieme all’associazione Astra di Caltagirone indirizzate a magistrati/e che operano in quella giurisdizione, affinché ponessero fine allo scempio di quelle vite.

In molte delle sue riprese, Orizzonti Mediterranei offre, nella ripetitività angosciante ma delicata delle scene dei e delle migranti tratte in salvo, dei trasferimenti o dei rimpatri, così come nelle musiche, nelle didascalie e nelle immagini di opere tratte dalla mostra mail-art Lampedusa porta della vita, il senso dell’attenzione femminile riferita al vivente e alle ragioni della vita. Ne viene una netta condanna e il rifiuto di tutte le guerre e della militarizzazione che ha colonizzato le nostre terre del sud, che tante devastazioni e tragedie sta causando, costringendo interi popoli a migrazioni forzate. Per significare l’inaccettabilità delle morti che accadono nel mare, le registe hanno scelto di mostrare in sequenza le opere fotografiche di un’artista catanese nelle quali si vedono moltissime foglie che galleggiano sul mare e sotto ogni foglia s’intravedono scritti i nomi orientali di donne e di uomini: Fatima, Omar, Abdul, Sheila…

 

Nel film Fuocoammare, ambientato interamente in una insolita Lampedusa invernale e che si avvale di magnifiche riprese, invece le donne non esistono: non ci sono né le abitanti nel paese, né le migranti nel suo mare, se non per intravederle in qualche sbiadita e stereotipata, apparizione… Oltre a un bambino disorientato, di cui l’unica presenza femminile nella vita è l’anziana nonna, abbiamo un sub solitario, un medico solitario che non si avvale, almeno questo Rosi fa apparire, dell’aiuto indispensabile di valenti collaboratrici/tori che sappiamo esserci al poliambulatorio di Lampedusa. E c’è poi una maestra invisibile e scontenta, della quale si ode solo la voce, un’anziana signora che liscia a lungo ogni mattina le coperte del suo letto, bacia Padre Pio e le altre statuette presenti, e richiede alla radio locale canzoni del tempo che fu… E le migranti? Rosi coglie l’umanità del medico Bartolo nell’eseguire un’ecografia a una migrante incinta, ma non coglie il dato tremendo, che la migrante per trovarsi incinta in quel frangente vuol dire che probabilmente è stata violentata in Libia o altrove. Ancora, una migrante è inquadrata per pochi attimi sulla nave che l’ha salvata, in un gesto disperato insieme a un’altra compagna… mentre un giovane rapper nigeriano, nell’Hot Spot di contrada Imbriacole, canta, di sé, del lungo viaggio, dei suoi compagni, e narra d’essere stato violentato in Libia.

Inoltre, il regista non sembra consapevole del processo di militarizzazione che sta devastando Lampedusa insieme ai corpi delle e dei suoi abitanti colpiti in tanti/e da leucemie e altri malanni, e mostra quei radar, quelle antenne, quel mare invaso da vedette e mezzi di perlustrazione e quei cieli oscurati dagli elicotteri militari che perlustrano il mare con i “raggi di fuoco” quasi fossero parte integrante e necessaria del paesaggio lampedusano. Non si domanda il perché di quei mezzi e di quelle apparecchiature belliche di terra, di cielo e di mare che hanno invaso luoghi e spazi che non molto tempo fa rendevano l’idea del paradiso… C’è solo l’oggi. Ma dell’oggi di Lampedusa, Rosi non vede o non vuol vedere che c’è chi non accetta tutto questo e si muove: l’energia di donne come le Mamme di Lampedusa, dei e delle giovani come quelli e quelle dell’associazione Askavusa, che con esperienza e maestria comunicano col mondo intero attraverso strumenti informatici di ultima generazione, promuovono esami epidemiologici per difendersi dalle radiazioni dei radar e progettano scuole ecosostenibili per i bambini e bambine dell’isola, e artisti/e che si esprimono su quanto di bello e di brutto è accaduto negli ultimi decenni nell’isola ecc.

Chi fa un film fa delle scelte e certo non può mostrare tutto, ma io ho sentito poca verità in Fuocoammare di Gianfranco Rosi, e mi dispiace.

 


(www.libreriadelledonne.it, 3 marzo 2016)

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