16 Luglio 2015
AP - autogestione e politica prima

PAROLE BENE-DETTE DI VANDANA SHIVA

Intervista della filosofa di Diotima C. Zamboni a V. Shiva con L . Colombo

Alla Libreria delle donne di Milano il 16 maggio è stata ospite Vandana Shiva. Perché Vandana Shiva in questo luogo del femminismo? Si tratta di una convergenza di fondo sui temi della vita, del lavoro e della presenza delle donne. Sono presenti questi temi sia nel manifesto Terra viva, scritto da un gruppo di collaboratori guidato da lei e presentato a Milano il 2 maggio nell’ambito dell’Expo 2015 dedicato al pianeta e al cibo sia nel Primum vivere, manifesto femminista del gruppo del lavoro della Libreria – simbolo poi ripreso nell’incontro femminista di Paestum del 2012. La cura della vita porta alla cura della terra e viceversa e le donne sono coinvolte in tale circolo. Nell’esistenza femminile al centro è il tessuto fragile della vita. La propria, delle altre e degli altri. È questo a dare la misura di come stare nelle relazioni, in tutte le sue sfaccettature dal lavoro alla dimensione delle lotte politiche.
Questi temi sono ripresi dall’ultima pubblicazione di Vandana Shiva, Chi nutrirà il mondo? Manifesto per il cibo del terzo millennio, edita da Feltrinelli. Vandana Shiva in questo testo mostra lo scontro in atto tra due paradigmi: quello dell’agricoltura industriale, che si fonda su una scienza oggettivante, che considera la terra come terra di nessuno – suolo morto su cui agire con agenti chimici e sementi modificate – e le donne e gli uomini che coltivano la terra non come esseri umani con un loro sapere guadagnato con l’esperienza, ma anelli di un processo produttivo di cibo. Vandana Shiva è impegnata nel far crescere un altro, diverso paradigma, che lei descrive come nascente. È un paradigma fondato sulla legge della restituzione alla terra da parte degli esseri umani. È basato sulla conoscenza dei cicli di fertilità della terra, da cui si ricava cibo aiutando la capacità di far crescer che un suolo possiede. Si tratta di conoscere i cicli nel loro ritmo e di aiutarne lo sviluppo, restituendo elementi organici all’organismo che ci ha permesso di produrli. Le scienze possono portare un notevole contributo a questo ciclo di generazione, coltivazione, restituzione. È fondamentale questo punto: Shiva, di formazione fisica e filosofa della scienza, sa che la ricerca scientifica può aiutare con intelligenza questo paradigma. Shiva indica le donne come le protagoniste di questo paradigma nascente, per il quale invita a fare tutte le mosse possibili come ha fatto lei, che ha dedicato tutta la vita alla nascita di questo paradigma. Le donne sono più attente a tutte le dimensioni della vita. La vita: un tessuto fragile, che non può essere preso come un oggetto da manipolare, ma che fiorisce di relazioni su più piani dell’essere.
Laura Colombo ed io nell’incontro avevamo l’impegno di porle domande. Ecco la mia prima: nutrire la terra – seguendo la legge della restituzione – è anche nutrirla di idee, di una cultura. Non si tratta soltanto di cibo. Non a caso Shiva ha fondato una Università della Terra perché non si tratta solo di pratiche da far conoscere, ma anche di concezioni della vita, del mondo e di noi come soggetti. La cultura, le idee sono per questo necessarie. Nella sua risposta ha calibrato il rapporto tra chi insegna nell’Università della Terra – e le idee vanno insegnate – e coloro che lavorano la terra, che danno forma a loro volta ad una conoscenza a partire dalle loro pratiche. Perché se il paradigma per il quale è impegnata è nuovo, tuttavia riprende e risignifica un sapere antico, che si basa sul fatto che sono coloro che lavorano la terra ad averne una conoscenza. La sua posizione è in polemica con il capovolgimento che si ha avuto con il capitalismo agroalimentare per il quale sembra che coloro che coltivano la terra siano semplicemente ignoranti – non ne sappiano nulla – e che i tecnici siano gli unici ad avere un sapere adatto e produttivo. In questo senso una Università della Terra ha come compito quello di creare connessioni tra pratiche, saperi d’esperienza, idee. L’Università della Terra fiorisce sulla molteplicità e pluralità di questi saperi, tenendo sempre presente che il sapere passa attraverso il vivere stesso.
A me stava molto a cuore la questione di come lei pensasse il rapporto tra donne di culture molto differenti come quella indiana e europea. Le storie culturali locali infatti sono diverse e non possono essere cancellate. Questo fa differenza tra le donne. Ad esempio considero che le donne europee hanno da attraversare il paradigma che in Europa si è strutturato dal Rinascimento in poi e che è in genere chiamato della modernità, che è un paradigma oggettivante e neutralizzante sia della terra sia delle donne. Allora però si pone per me come e su cosa costruire uno scambio politico con donne di altre culture, come quella indiana. Risulta chiaro dalla sua risposta che non è affatto d’accordo con l’impostazione della domanda. Shiva ha affermato che scommette su tutte le donne. E che la differenza non è data dai saperi e dagli strumenti tecnologici – carichi di storia – che donne di paesi diversi adoperano. Piuttosto è data da ciò che mangiano. La dipendenza dal cibo accomuna tutte le donne, e se non si accetta questa dipendenza dal cibo come primo modo della vita, si ricade nelle forme culturali, astratte del patriarcato. In questo senso per lei il dibattito che nella cultura occidentale femminista ruota attorno al termine modernità, e al paradigma della modernità, più che altro crea confusione. Un esempio: il sari che lei indossa è antico e contemporaneo allo stesso tempo.
Altra domanda: il lavoro delle donne in rapporto alla terra è lavoro, ma suggerisce una concezione diversa del lavoro, in quanto la prima a produrre è la terra stessa, e dunque il lavoro delle donne è come un assecondare, stare in sintonia con i ritmi della terra, andare incontro e restituire. Quando si è in rapporto alla natura i limiti tra lavoro e non lavoro, tra vita e lavoro diventano porosi. Non sono così evidenti.
La sua risposta è stata molto interessante.
Innanzitutto prendendo le distanze da tutte quelle parole di radici anglosassoni che indicano il lavoro come sottomissione e divisione del lavoro. E job è una di queste. Ironicamente le ha chiamate parole “fregatura”. Per cui lei e gli altri che hanno scritto il manifesto Terra viva hanno cercato altre parole per indicare il lavoro, che non sia riportabili a job e a qualche forma di sottomissione. Per quanto riguarda il lavoro delle donne in rapporto alla terra, ha parlato di cocreazione con la terra. E questo ha a che fare con il cibo che mangiamo, perché sono state le donne in rapporto alla biodiversità a produrre effettivamente cibo. Se questo è stato controllato e sfruttato storicamente dal dominio patriarcale, ora il discorso patriarcale è stato modificato in un altro tipo di discorso narrativo da parte del capitalismo agro-alimentare. Cioè: è vero che le donne lavorano, come del resto i contadini lavorano, ma sono gli investimenti agroalimentari che permettono la produzione di cibo. Per lei questa narrazione degli investimenti capitalistici è una costruzione mentale. Il che non significa – aggiungo alle sue parole – negare la realtà degli investimenti capitalistici, ma solo che si tratta di una parte della realtà e non l’unico significante che interpreti la realtà. Sono queste finzioni, narrazioni, a creare capitale e che vengono adoperate per appropriarsi della creatività della natura e delle donne. La Monsanto ad esempio si è appropriata di conoscenze che le donne avevano di pesticidi naturali e poi le ha vendute come un sapere brevettato. Non è un’azienda che produce semi: ruba piuttosto sia semi sia saperi. Ora, Monsanto è una multinazionale e certo non è una persona. Eppure si propone invece come una persona che ha diritti come un individuo, e che lo stato deve riconoscere e garantire in base alla libertà dell’individuo, sancita dalla costituzione. Shiva mette in guardia dal cercare di individuare dove incominci la creatività della natura e dove quella delle donne. Si tratta in realtà di una continuità creativa. E infatti, proprio perché è un rapporto, una relazione, non si può assolutamente misurare, quantificando. Come se si potesse dire, ecco due centimetri mette l’una, due centimetri l’altra. È nelle economie aggressive, al contrario, che si quantifica tutto per controllare. C’è un conflitto in corso. Se Monsanto vuole appropriarsi della creatività delle donne e del loro sapere, le donne non sono disposte a darlo. Monsanto è messa alle strette in questo momento.
A questo punto Laura Colombo ha posto una domanda cruciale. Una domanda che punta sulla contraddizione della presenza di Vandana Shiva all’Expo Milano 2015, finanziato dalle multinazionali agroalimentare, avendo lei personalmente una posizione dichiaratamente contrapposta ad esse. Laura Colombo si chiede e le chiede se è possibile far accadere qualcosa di nuovo portando il dissenso all’interno di un contesto che non lo prevede. Un contesto che è una macchina per la costruzione degli interessi di industrie quali la Monsanto, la Coca-cola e così via. Non c’è il pericolo di essere strumentalizzata? Quali sono le pratiche che possono funzionare per aprire dei conflitti creativi e per non finire per fare il gioco delle industrie del cibo?
La risposta di Vandana Shiva, dapprima ironica (dicevano quelli dell’Expo “Non lasciatela venire. Fate piuttosto venire un ambasciatore della biotecnologia”) si è poi concentrata sulla questione posta. Lei non si sente strumentalizzata perché con altri ha portato il manifesto Terra viva, attraverso i legami con la banca etica a Cascina Triulza, che fa parte dell’Expo 2015 dando spazio a pratiche alternative a quelle della grande industria. Così come ha inaugurato il parco della biodiversità. Il nocciolo della risposta però è stato questo: lei non vive nulla meccanicamente – dove io interpreto che lei non sta a significati e steccati già stabiliti. Ora, se si vive in modo autentico qualcosa, allora ognuno porta la propria autenticità in qualsiasi posto. Dunque lei è se stessa anche nel contesto di Expo 2015. Certo il parco della biodiversità che ha inaugurato all’Expo è sovrastato dall’insegna della Coca-cola e questo per lei è simbolicamente forte. La Cocacola prende milioni di litri di acqua in India per il suo prodotto e affama così le donne indiane. Quando lei vede il cartello della Coca-cola vede il sangue della sua gente: chi beve Coca-cola ne beve il sangue. Allo stesso tempo con altre donne ha fatto una lotta in India, di modo che la coca-cola è stata tolta dalle mense di moltissime scuole.
La mia ultima domanda ha riguardato le radici femministe del suo pensiero. Il libro in cui ho percepito di più tali radici è stato Terra madre. Sopravvivere allo sviluppo. La parola “donna” diventa in quel libro un nome di battaglia, un luogo di contraddizione e di lotta, che sicuramente le viene dal femminismo. Mi interessava sapere la sua storia rispetto alle donne come compagne politiche. Nella risposta parte proprio da questo libro, Terra madre. Quando lo scriveva era un momento in cui le donne si presentavano sempre di più da lei per la difesa della terra. Lei certo ha imparato la fisica quantistica e le particelle all’università, ma quello che ha imparato davvero riguardo alla terra l’ha imparato dalle donne nella coltivazione dei campi e nelle foreste. E ha imparato dalle donne la capacità di resistenza. Le donne sono sì escluse, oppresse, ma si rifiutano di essere vittime. E questo è in sintonia con il fatto che le donne che lottano per questioni molto concrete esprimono il fatto che la forza che c’è nelle foglie che crescono ogni anno sugli alberi, nell’erba che, calpestata, si risolleva, è la stessa che le donne riconoscono a se stesse. In India viene data a questa forza il nome di Prakriti, e le donne sanno che è la loro forza. Del resto è vero che l’economia violenta porta ad una violenza sulle donne e che questi due aspetti crescono assieme. La violenza sulle donne non è una cosa nuova, ma la frequenza e la brutalità di tale violenza è invece una cosa nuova. Così le donne nella globalizzazione non sono soggette ma oggetto di sfruttamento e sono proprio il nodo di tale violenza. E allo stesso tempo proprio perciò c’è una sollevazione delle donne.
Fare pace con la terra porta a fare pace con l’umanità. La guarigione della terra e la guarigione sociale vanno assieme. C’è bisogno di nuove forme di democrazia e – lei ha affermato, rivolgendosi alle donne della Libreria – questa Libreria delle donne è uno spazio di vera democrazia.
L’incontro si è concluso con il suo ricordare l’orientamento della speranza, che possiamo vivere in ogni gesto di coltivazione della terra, anche il più modesto. La speranza vera nasce nel considerare le situazione di difficoltà umana e sociale – come ad esempio Lampedusa – non come se fossero realtà a se stanti, isolate da noi, ma luoghi da vivere dall’interno a partire da noi. Allora si può tessere un nuovo filo di socialità.

(AP – autogestione e politica prima, N. 2 – MAGGIO / AGOSTO 2015)

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