16 Aprile 2019
The Guardian

Perché Andrea Dworkin è la femminista radicale e visionaria che è necessaria oggi, in questi tempi terribili


Etichettata come anti-uomo, anti-sesso e brutta, ha predetto sia l’ascesa di Trump che l’avvento del #MeToo e il suo atteggiamento impenitente è più che mai attuale.


Julie Bindel (Versione originale)



“Non posso venire come amica, anche se lo vorrei tanto”. Queste le parole di Andrea Dworking, rivolte a un’organizzazione maschile anti-sessista nel 1983, nel suo acclamato discorso I Want a 24-Hour Truce in Which There Is No Rape (Voglio 24 ore di tregua dove non ci siano stupri). “Il potere esercitato dagli uomini, giorno per giorno, nella vita, è potere istituzionalizzato. È protetto dalla legge. È protetto dalla religione e dalla pratica religiosa. È protetto dalle università, che sono roccaforti della supremazia maschile. È protetto dalle forze di polizia. È protetto dai “legislatori non riconosciuti del mondo”: i poeti, gli artisti, come li chiamava Shelley. Contro quel potere, c’è il silenzio”.

Dworkin, morta di infarto nel 2005 all’età di 58 anni, fu una delle femministe radicali più note. Ha scritto 14 libri, il più famoso dei quali è Pornography: Men Possessing Women (1981) (Pornografia: uomini che possiedono le donne). Ora il suo lavoro è stato ripubblicato nel volume Last Days at Hot Slit (Ultimi giorni a Hot Silt), una nuova raccolta dei suoi scritti.

Molti articoli scritti su di lei sostenevano che Dworkin era l’odio fatto persona. I media dicevano spesso che odiava gli uomini, odiava il sesso, odiava la libertà sessuale e odiava nel modo più assoluto la sinistra. Nel 1998, uno scrittore della rivista London Review of Books ritenne opportuno dare il suo parere sul suo aspetto fisico (“sovrappeso e orrendo”) e su come la sua presunta “frustrazione” di non fare abbastanza sesso “l’abbia trasformata in una odiatrice dell’uomo”. Un altro, dopo la sua morte ha scritto che Dworkin era un “fantasma triste”, che il femminismo ha bisogno di esorcizzare e che era “pazza”.

Conoscevo la vera Dworkin, e la nostra amicizia decennale mi ha fatto vedere molto più amore che odio. “Conservo le storie delle donne nel mio cuore”, mi diceva quando le chiedevo come faceva il lavoro che faceva rimanendo sana di mente. “Mi incitano e mi tengono concentrata su ciò che deve essere fatto”.

Era motivata da un innato desiderio di liberare il mondo dal dolore e dall’oppressione. Se avessimo ascoltato più di Dworkin nei suoi decenni di attivismo e avessimo preso sul serio il suo lavoro, un numero maggiore di donne avrebbe abbracciato il femminismo radicale, non quello divertente, fatto di slogan che si leggono sulle magliette, incentrato sul “girl power” (che è potere individuale) e la possibilità di indossare i pantaloni, invece di puntare a un movimento collettivo per emancipare tutte le donne dalla tirannia dell’oppressione.

Ci siamo incontrate nel 1996. Ero una delle organizzatrici di una conferenza internazionale sulla violenza contro le donne, e Dworkin era la relatrice principale. Ci siamo piaciute subito, poiché avevamo lo stesso senso dell’umorismo e una serie di amici in comune. Siamo andate a cena la prima sera con un gruppo di relatrici della conferenza e stavamo discutendo in modo acceso le nostre liste di desideri su come porre fine al patriarcato. Il mattino seguente Dworkin mi ha detto: “Hai notato che eravamo donne quando siamo entrate, ragazzi quando hanno preso il nostro ordine, e probabilmente bandite per la vita quando ce ne siamo andate?”.

All’inizio degli anni ’70, Dworkin parlò della sua esperienza di violenza e abuso, in un periodo in cui poche lo fecero. E oggi, nel pieno delle rivelazioni del #MeToo, possiamo vedere quanto era avanti rispetto al suo tempo. Un recente articolo sul New York Times afferma che “Negli anni ‘80 e ‘90, leggere Dworkin era diventato, per molte, un rito di passaggio collettivo sconcertante e stimolante insieme. Il suo modo di scrivere è uno sguardo stridente e crudo sul pregiudizio sistemico che influenza le esperienze quotidiane delle donne”.

Il suo libro del 1983, Right-Wing Women (Donne di destra), potrebbe essere la spiegazione su come Trump è salito al potere. La sua analisi nitidissima del perché così tante donne sono attratte da una politica che disprezza i loro diritti è più attuale che mai, anche se dubito che Dworkin avrebbe gettato così in fretta sulle donne bianche la colpa per l’elezione di Trump. La sua teoria centrale è che la destra sfrutti la paura delle donne e ci offra una protezione cavalleresca. La destra ci rassicura che non bisogna modificare lo status quo, ma accettarlo e sfruttare qualsiasi accesso al potere a nostra disposizione. Dworkin disperava del cosiddetto “femminismo magro”, che si concentra sulla capacità delle singole donne privilegiate di salire in cima alla scala sociale, e ha sempre detto che finché le donne della “parte inferiore del mucchio” non sono state liberate, nessuna di noi lo potrà essere.

Quanto è rigenerante il suo modo di parlare e scrivere – inebriante e impenitente – se si confronta con la prosa del “femminismo divertente”, che vediamo oggi così spesso sugli scaffali. Gran parte di questa scrittura si concentra sull’auto-aiuto per individui insoddisfatti, per esempio il libro di Caitlin Moran How to Be a Woman (Come essere una donna), che ride del sessismo con molte allusioni. Questa, avrebbe detto Dworkin, è solo un’altra distrazione per non vedere che le donne vivono “dentro un sistema di umiliazione da cui non c’è via di fuga”. Viviamo in tempi terribili per le donne. Per fortuna, la nostra resistenza alla pandemia globale della violenza sessuale e domestica sta crescendo. Ma questa resistenza viene indebolita da un tentativo concertato di mettere a tacere le donne – basti guardare l’inesorabile aumento degli accordi di non divulgazione per mettere a tacere le donne che parlano di discriminazione o molestie.

Dworkin non sarebbe mai stata messa a tacere. Leggendo il suo pezzo Cari Bill e Hillary, pubblicato su questo giornale nel 1998, mi chiedo come non abbiamo potuto vedere che un uomo come Donald Trump sarebbe finito al potere, e che gli scandali sugli abusi sessuali avrebbero dominato i media.

Qualche decennio fa, Dworkin ha parlato apertamente contro le femministe liberali che hanno difeso Clinton dalle accuse di abuso sessuale e cattiva condotta semplicemente perché diceva di sostenere il movimento statunitense contro la violenza sessista. “Le politiche dei politici maschi nei confronti delle donne sono importanti, ma anche le molestie sessuali sono un problema. Non dici che va bene che il capo del tuo Paese si faccia succhiare il cazzo da una donna che ha metà dei suoi anni, mentre è nella Casa Bianca”, ha scritto. “Mi interessa come gli uomini nella vita pubblica trattano le donne”. Quanto è profetico quando 20 anni dopo abbiamo un presidente che parla apertamente di come la sua fama significhi che può “fare qualsiasi cosa” alle donne – anche “afferrarle per la figa”.

E poi c’è la spinosa questione della pornografia. Insieme alla studiosa di diritto e all’autrice femminista Catherine MacKinnon, nel 1983 Dworkin ha escogitato l’Ordinanza sui diritti civili anti-pornografia di Dworkin-MacKinnon, che avrebbe conferito il diritto al ricorso civile alle donne direttamente danneggiate dalla pornografia, consentendo alle vittime di citare in giudizio produttori e distributori. L’ispirazione è venuta da Linda Lovelace, la star di Deep Throat (Gola profonda), che aveva detto di essere stata costretta a fare il film e di essere stata violentata durante la sua produzione.

L’ordinanza, sostenuta dalle femministe anti-pornografia negli Stati Uniti, nel Regno Unito e altrove, si è rivelata generalmente impopolare e alla fine è decaduta. Ma, dice l’autrice anti-porno Gail Dines: “Il lavoro di Dworkin assume un’importanza maggiore alla luce del movimento #MeToo, che ha reso visibile la violenza sessuale di routine a lungo mantenuta nascosta … [Era] più accurata persino di quanto avrebbe potuto sapere: la cultura dominante evita ancora oggi di affrontare la realtà del ruolo della pornografia nel dominio sessuale degli uomini sulle donne”.

Dworkin è stata la prima femminista della seconda ondata a scrivere in dettaglio su come le pratiche di bellezza provengano e si nutrano dell’oppressione delle donne. “Togliere le sopracciglia, radersi sotto le braccia … imparare a camminare con le scarpe coi tacchi”, scrisse in Woman Hating (Donna che odia), “avere un naso perfetto, raddrizzare o arricciare i capelli – queste cose fanno male. Il dolore, ovviamente, insegna una lezione importante: nessun prezzo è troppo grande, nessun processo troppo ripugnante, nessuna operazione troppo dolorosa per la donna che deve essere bella”.

Le cosiddette porno-femministe sono un fenomeno abbastanza recente, ma Dworkin non sarebbe stata d’accordo con l’idea che il porno possa essere realizzato in modo etico. Immagino che avrebbe visto questa argomentazione molto simile a quelle di sinistra, ovvero che il porno dovrebbe essere protetto come “libertà di espressione”. “La nuova pornografia è un vasto cimitero dove la sinistra è andata a morire”, ha detto una volta. “La sinistra non può avere le sue puttane insieme alla sua politica”.

Mesi prima che morisse, ho presentato Dworkin ad alcune redattrici del Guardian, poiché stava diventando sempre più angosciata dal non poter pubblicare il suo lavoro negli Stati Uniti. Uno dei pezzi commissionati a seguito di quell’incontro riguardava il vivere con dolore e disabilità. Nell’ultima email che ho ricevuto, Dworkin mi ha detto quanto fosse positiva la sua esperienza in contatto con donne che riconoscevano la sua dignità. “Non ho mai – voglio dire mai – avuto l’esperienza di essere trattata con questo rispetto dagli editori con cui lavoro. Lo apprezzo molto”. Dworkin era tristemente profetica riguardo all’eterosessualità. L’attivista Caroline Criado-Perez (descritta recentemente come “il volto accettabile del femminismo”) cita l’analisi di Dworkin sui rapporti sessuali tra uomini e donne. “C’è una brillante citazione di Dworkin su questo”, ha detto. “Le donne sono l’unico … gruppo che condivide il letto con l’oppressore”.
Nel 1988 Dworkin fu ampiamente messa alla berlina per aver descritto i rapporti sessuali come “obbligatori”, sostenendo che gli uomini rivendicano un diritto inalienabile di penetrare le donne durante il rapporto sessuale, e che questo è uno degli strumenti del patriarcato. Tuttavia solo il mese scorso, in tribunale è stato chiesto a un giudice di prendere in considerazione l’ipotesi di imporre a un uomo la restrizione di fare sesso con sua moglie, perché a lei mancava la capacità mentale di dare il consenso. Il giudice ha detto: “Non riesco a pensare a un diritto umano più fondamentale del diritto di un uomo di fare sesso con sua moglie”.

[…]


L’odio viscerale nei confronti di Dworkin fungeva da monito per le donne a non impegnarsi nel femminismo radicale. Tuttavia adesso ne abbiamo più bisogno che mai. Le condanne per stupro sono rare quanto i denti di gallina; il revenge porn è una realtà quotidiana per molte donne e ragazze; e il traffico di donne nel commercio sessuale è endemico. Un’indagine sulle principali bande di sfruttamento in Inghilterra ha scoperto che la polizia era felice di incolpare le vittime per il loro destino. Il femminismo soft diffuso oggi è inadeguato per il clima di misoginia che le donne sono costrette a sopportare. L’attenzione, in particolare delle donne giovani e universitarie, sull’identità individuale e sulla scelta dello stile di vita non reggerà l’assalto del movimento per i diritti degli uomini.

La verità su Dworkin è ovunque, ma lo è anche la distorsione del suo lavoro e della sua politica. Nel 1998, ho fatto visita a Dworkin nella sua casa di Brooklyn. Stavamo parlando dell’ultimo attacco contro di lei da parte delle femministe pro-pornografia, che l’aveva chiaramente sconvolta. “Ho la sensazione che dopo la mia morte potrei essere finalmente capita”. Ho chiesto cosa intendesse. Lei non si sbilanciò.

Le nostre lunghe conversazioni, che mi mancano di più ogni anno che passa, sarebbero piene di risate e passioni, ma sempre con la nuvola incombente del destino che si aggira. Dworkin l’ha capito così bene quando me lo ha detto, solo pochi mesi prima che morisse: “Le donne torneranno al femminismo, perché le cose andranno molto lontano, molto peggio per noi prima che migliorino”.


(The Guardian, 16/04/2019)

Print Friendly, PDF & Email