di Silvana Ferrari
A distanza di 25 anni due registe, l’australiana Gillian Armstrong (nata nel 1950) e la newyorkese d’adozione Greta Gerwig (nata nel 1983), si sono cimentate nella messa in scena del capolavoro di Louisa May Alcott.
Nel 1994 la Armstrong realizzò la sua versione cinematografica con Winona Ryder nei panni di Jo e Susan Sarandon in quelli della madre, la signora March.
In questi giorni nelle sale è in programmazione il film di Greta Gerwig, con protagonista la sua attrice preferita Saoirse Ronan, già vista nell’acclamato Lady Bird, Laura Dern nei panni della madre, e un’eccezionale Meryl Streep – da Oscar – in quelli della sarcastica e autoritaria zia March.
Gillian Armstrong – già regista dell’indimenticabile La mia brillante carriera, in concorso nel 1979 a Cannes, in cui raccontava di una giovane di famiglia povera che, alla fine dell’Ottocento, nella riprovazione generale, pur di perseguire il suo desiderio di diventare scrittrice rinunciava a un buon matrimonio, venendo, però, successivamente premiata con la pubblicazione del suo libro – nella sua interpretazione di Piccole donne segue la consequenzialità cronologica della trama dando rilievo sia al contesto familiare di Jo, sia all’ambientazione storica: la guerra civile con i suoi lutti, le sofferenze, la miseria, ma anche la speranza di un paese che sta mettendo le basi della sua democrazia. Il tema della discriminazione razziale è fondamentale, ma in grande rilievo è il cambiamento portato dalle donne in una società in costante trasformazione. Jo è la figura centrale, è la creativa, la ribelle alle convenzioni sociali, alle regole e alle imposizioni. Prende fuoco facilmente, è estremamente generosa, ma anche confusa, tranne che per il suo desiderio di scrivere. Non sa chi è, non si riconosce in niente – lo confessa in un dialogo con la madre –, si sente molto sola nella ricerca di sé e di quello che vuole diventare. La regista accentua la solitudine delle sue scelte, le difficoltà nel confrontarsi con il mondo, fuori dalla protezione della cerchia familiare. Il film la seguirà nel suo percorso di esperienze, di accettazione e di consapevolezza di sé, in cui la sua passione resta il principio conduttore. Una figura complessa nei suoi chiaroscuri.
Piccole donne di Greta Gerwig procede con continui e veloci flashback che ricostruiscono, attraverso i ricordi di una Jo-Alcott già alle prese con la sua carriera di scrittrice a New York, le vicende della sua famiglia e delle sue sorelle in episodi che tutte ricordiamo. Una Jo che pur in abiti ottocenteschi è donna della nostra contemporaneità. Merito dell’interpretazione di Saoirse Ronan che la fa, nell’adolescenza, esuberante, irriverente e mai sottomessa ai piccoli intrighi e compromessi, irresistibilmente vitale a capo dei giochi e degli scontri con le sorelle e con l’amico Laurie. E, da giovane donna, combattiva con gli editori per la pubblicazione dei suoi scritti, sicura del loro valore, anche economico, grazie al quale può guadagnarsi da vivere in una New York niente affatto dalla parte delle donne. Un mondo lontano dalla benevolenza familiare dove lei si muove sì con difficoltà e consapevolezza della propria solitudine, ma con grande determinazione, decisa a realizzare le sue scelte di vita. Alla sfida di Jo, erede diretta degli insegnamenti materni, Gerwig contrappone quella di Amy, la sorella minore frivola e capricciosa dell’iconografia cinematografica precedente alla Armstrong, che viene qui fatta assurgere al ruolo di coprotagonista. A lei viene data dignità e profondità di personaggio al pari di Jo, nonostante i loro desideri siano antagonisti e creino continue rivalità e inevitabili conflitti. È Amy che fin da piccola sa ciò che vuole e lo persegue seguendo alla lettera gli insegnamenti di zia March. C’è sicuramente amore per il futuro marito Laurie e generosità nella consapevolezza che un buon matrimonio sarà utile alla famiglia, ma ciò non toglie che lei realisticamente conosca il proprio valore e lo ponga sul mercato degli uomini contrattandolo al meglio.
Per me, che fui da bambina e adolescente appassionata lettrice dei romanzi di Alcott, identificandomi in Jo, piangendo per Beth, sospirando per l’amore di Laurie per Jo e odiando nel contempo Amy che subdolamente lo sposava, è una prova sempre ardua misurarmi con la loro realizzazione cinematografica. Però ogni generazione, come nel caso delle due registe, ha arricchito con uno sguardo nuovo, originale, quelle quattro ragazze che ormai sono nel nostro immaginario.
(Via Dogana 3 – Vision , 14 gennaio 2020)