4 Luglio 2014
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Preferisco i cassetti. Una mostra dedicata a Wisława Szymborska

 

di Zuzanna Krasnopolska

 

Informazioni: Cassetto di Szymborska [Szuflada Szymborskiej] presso Kamienica Szłayskich in plac Szczepański 9 a Cracovia, curata da: Zofia Gołubiew, Olga Jaros, Sebastian Kudas, Sławomir Pankiewicz, Michał Rusinek, Teren Prywatny (Anna Maria Bojarowicz, Anna Grzywa, Marcin Przybyłko, aperta fino al dicembre 2014 (probabilmente, visto grande interesse, resterà aperta ai visitatori ancora per un po’).

Perché chiamare “Il cassetto” un’esposizione dedicata alla poetessa polacca insignita del premio Nobel? A parte l’amore incondizionato di Wisława per i cassetti (il mobile preferito, basta rileggere la sua poesia Possibilità), che considerava la più grande delle invenzioni dell’umanità, il primo appartamento dove abitò dopo aver lasciato la casa dei genitori era addirittura chiamato dagli amici “Cassetto” per i suoi spazi ridottissimi.

E perché è stata scelta la Kamienica Szołayskich, un edificio storico di proprietà del Museo Nazionale di Cracovia piuttosto che la casa della poetessa? Innanzitutto perché sarebbe difficile ricreare uno studio della poetessa, uno studio come si deve, visto che di solito scriveva… in camera da letto. Poi, in virtù del testamento, l’appartamento fu dato ad un’amica della Szymborska, ormai in età avanzata, che abitava in un palazzo senza ascensore al quarto piano.

Così finalmente, dopo aver radunato tutti gli oggetti appartenenti alla poetessa e dopo essersi resi conto dell’inimmaginabile quantità di materiali (4 palette, ognuna alta 15 metri), i membri della Fondazione Szymborska, creata in seguito al testamento, notarono che sarebbe stato particolarmente difficile gestire un patrimonio così vasto se sistemato in un magazzino qualsiasi, anche se temporaneamente. Le due salette offerte dal Museo Nazionale di Cracovia erano perfette: non vi entrano più di 8 persone alla volta e, come sosteneva sempre la poetessa, oltre questo numero sarebbe già una  folla.

L’idea principale della mostra è mostrare la scrittrice tramite i suoi oggetti, oggetti spesso insoliti e originali, collezionati e radunati con furore e curiosità, forse un suo metodo di opporsi al grigiore della realtà, di creare da sola una sorta di rivincita contro le mancanze e la bruttezza della realtà circostante della Polonia degli anni sessanta e settanta sotto il regime sovietico. Come assicurano i curatori, non si tratta però di frugare nell’intimità della poetessa, l’unico richiamo alla vita privata consiste nel mostrare il suo albero genealogico e qualche foto con compagno di 23 anni, lo scrittore Kornel Filipowicz, ma di usare gli oggetti come una chiave per conoscere e capire meglio la sua immaginazione poetica.

La mostra espone numerose cartoline della ricchissima collezione della Szymborska, risalenti soprattutto al periodo fra le guerre mondiali, che costituiscono, tra l’altro, una fonte importante di sapere storico su quei tempi, maschere (una di Venezia, altre realizzate da un artista polacco), vari doni di amici e conoscenti (i più brutti venivano riciclati durante le lotterie che organizzava al termine delle feste), tra cui una figura di suora  caricata a molla, un accendino a forma di sommergibile abbastanza grosso, un contenitore di sale e  pepe con le forme dei busti di Goethe e Schiller, la riproduzione di Mosca per decorare il burro fresco e molti altri. Bisogna frugare, aprire i cassetti, ammirare un grande numero di oggetti anche se – lo dobbiamo ricordare – non tutti ancora sono in mostra. In una cantina del museo si trovano numerosi cartoni pieni di cartoline non catalogate!

Non mancano le foto della poetessa, anche se non le piaceva essere fotografata. Si lasciava andare all’obiettivo solo di fronte ai cartelli dei paesini visitati durante i suoi viaggi che la facevano ridere (da Neanderthal a Corleone e molti altri) o nelle situazioni buffe (come con i guanti da pugile – ricordiamoci il fascino che il pugilato suscitava nella poetessa e la poesia “Serata d’Autore”, con il suo incipit: “O Musa, essere un pugile o non essere affatto” nella traduzione di P. Marchesani).

Nell’ultima sala troviamo anche il divano della poetessa, dove concedeva la maggior parte delle interviste. L’odio verso le interviste era simile a quello che provava verso l’essere fotografata. Quando un giornalista arrivava a casa sua, per prima cosa lo faceva sedere accanto a sé sul divano, gli offriva un caffè e un cognac e dopo gli faceva un terzo grado su famiglia, moglie, figli, amanti ecc..  Solo quando vedeva la disperazione negli occhi del suo ospite, travolto dalla valanga di domande, si lasciava intervistare. Accanto al divano troviamo un telefono dove, dopo aver composto uno dei numeri scritti sul muro, si può ascoltare la voce di Szymborska che recita in polacco una delle sue poesie. Accanto, su un tavolino, la macchina da scrivere della poetessa e qualche suo manoscritto, e nei cassetti: accendini, diplomi (come quello di Nobel), decorazioni onorifiche, altre cartoline, i tagli dai giornali in diverse buste intitolate “animali”, “teste, mani, piedi e altro” ecc., un ventaglio trovato in un mercato di pulci in Italia.

Non mancano gli oggetti macabri e terrificanti (era noto l’amore di Szymborska per i gialli) come ad esempio il braccio finto regalatole da Michał Rusinek anni prima e che la poetessa addobbò con gli anelli e appese in sala da bagno, causando il terrore fra i suoi ospiti che si recavano alla toilette. Il rapporto fra il cosiddetto “primo segretario” e la prima poetessa era davvero speciale: li univa non solo un certo tipo di senso dell’umorismo (si incontrarono quando Rusinek era appena laureato, raccomandato dalla relatrice della tesi nonché amica della Szymborska, Teresa Walas, per il lavoro dell’assistente e con un gesto deciso e secco tagliò il filo del telefono che squillava ininterrottamente e in seguito registrò il messaggio automatico), la voglia di scherzare, ma anche il fatto che entrambi sembrano provenire da un’epoca passata -fino alla fine si diedero del “lei”, mai del “tu”.

I collage (le cosiddette wyklejanki) costituiscono una curiosità a parte. Wisława Szymborska, disperata dopo aver cercato inutilmente delle belle cartoline da mandare agli amici (bisogna dirlo: le cartolerie sovietiche lasciavano a desiderare dal punto di vista estetico), si rassegnò e si mise a produrle da sola. Si fece arrivare una colla speciale dalla Germania e si dedicò alla realizzazione delle cartoline-collage dove l’idea principale fu quella di contrapporre due elementi contrastanti e senza nesso logico tra loro: un titolo tagliato da un giornale, un catalogo, una vecchia cartolina, una rivista di moda fin de siècle, un menù con una foto… Si trattava di cartoline con auguri (la più grande fu fatta per Woody Allen) o semplici, da regalare senza un preciso motivo.

In esposizione possiamo studiarle bene: una Marilyn Monroe con le gambe di un uomo grosso e peloso, una foto di un deserto con la scritta “Vietato nuotare”, e teste di tre scimmie (animale preferito di Wisława, assieme al gatto) con un sottotitolo “12 scimmie finalmente a Cracovia”: a quest’ultima sono legati due aneddoti: secondo il primo la Szymborska fece il collage subito dopo esser tornata da Stoccolma con il Nobel (il viaggio denominato “la tragedia di Stoccolma” insieme a 11 membri del suo staff; l’altra riporta che la foto delle scimmie era presente su una pubblicazione sulla Szymborska con l’assurda didascalia: “da destra Wisława Szymborska, la poetessa Ewa Lipska ecc..

Per chi è interessato a vederli dal 14 giugno al 6 luglio 2014 nel Museo Comunale di Gavoi sarà allestita una mostra dei collage della Szymborska al Festival Isola delle Storie di Gavoi, una possibilità da non perdere!

in LetterateMagazine

 

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