5 Gennaio 2016
www.la27ora.it

Quando i soldi sono il legame simbolico

di Alessandra Bocchetti

 

C’è voluto un po’ di tempo per fare sedimentare tutto quello che ho letto sull’utero in affitto. È durata un mese o forse più la pioggia incessante di dichiarazioni, articoli, confessioni, condanne.

Lo so che l’espressione “utero in affitto” non fa piacere ad alcune compagne e amiche, ma proprio di questo si tratta e penso che ogni alternativa a questa espressione, magari meno brutale, ci allontani dalla verità

Di tutto questo materiale non riesco a dimenticare un articolo apparso su La27ora/Corriere che raccontava la perfetta efficienza per trovare uteri disponibili di una clinica californiana. Una rapida indagine sulle ragioni della scelta, più routinaria che necessaria, seguita dall’ascolto dei desiderata ed ecco subito l’utero buono saltava fuori da un fornitissimo database. Poi il contratto.

Si sa che il contratto, come strumento giuridico, testimonia reciproco consenso e con questo legittima, autorizza l’oggetto, senza la necessità di giustificazioni o la pretesa di raccontare storie ma spesso, soprattutto quando si parla di corpi umani Il contratto è sempre brutale, spesso è la legalizzazione di un sopruso, il suo alibi

Sono inciampata su due punti del contratto della clinica californiana. Il primo è che la donna o che l’uomo che richiedeva quella determinata prestazione poteva cambiare idea e poteva quindi decidere di fare abortire la donna che stava “lavorando” per lei/per lui. Il secondo è che nella scelta del soggetto disponibile la statistica diceva che erano di molto preferite le lesbiche, perché … il tutto risulta più pulito, nessuno sperma di “chi sa chi” può imbrattare, nessun cazzo può colpire ma neanche sfiorare il nostro bambino che sta crescendo. Tutto questo in cambio di denaro, molto denaro.

Se da una parte il denaro serve a chi non ne ha e questa potrebbe essere una giustificazione – ho sentito tante donne sostenere questo- dall’altra parte il denaro autorizza, tranquillizza, ti colloca in luogo certo e, nel profondo della coscienza, ti garantisce il perdono. Sì, questo mi ha fatto proprio orrore.

Per farla breve dico subito qual è la mia posizione in proposito. Se la scienza è riuscita a superare i limiti di un corpo umano, creando la possibilità di nuove relazioni, nuove dimensioni, non sarò certo io a dire di no. Il mio no non varrebbe nulla, avrebbe solo l’arroganza di un gesto impotente. Vorrei ragionare sì sulle condizioni.

Penso che sia bellissimo che una sorella, un’amica cara, una madre possa farmi il grande dono di portare, nutrire e fare crescere dentro di sé una creatura che sarà mia, se mi trovassi nella triste condizione di non poterlo fare. Il bambino che nascerà riceverà un racconto di generosità che lo impegnerà alla gratitudine, il sentimento più civilizzatore che ci sia. Chi l’avrà messo al mondo resterà sotto i suoi occhi, non sparirà. Parole, gesti, sguardi, intrecci. In questo caso l’utero prestato sarà un esperienza di bene puro, quello vero, quello disinteressato, che farà crescere tutti coloro che ne sono coinvolti.

Non servirebbe contratto, solo un regolamento condiviso, chiaro e più semplice possibile. Ecco, tutto questo vorrei che fosse possibile e legale.

Da tutto questo resta tassativamente fuori il denaro, resta fuori il mercato del migliore offerente, il mercato delle carni più sode. Il mercato delle “fattrici”

Per l’utero in affitto ho soprattutto sentito dire « è giusto», «è ingiusto» e sembra che tutti abbiano buone ragioni da difendere. Io non voglio parlare in termini di giustizia. Voglio invece immaginare, come potrebbe diventare il paese in cui vivo se venisse legalizzato il mercato dell’utero in affitto.

Sensali che battono le campagna alla ricerca di donne povere, e questo sarà soprattutto al sud, come una volta cercavano le balie da latte, giovani contadine che appena partorito erano costrette a lasciare il proprio bambino per andare a nutrirne un altro, figlio di signori. Dovevano avere un aspetto sano, forte, senza denti cariati o altre malattie accertate. Il sensale questo doveva garantire. E c’era un contratto ferreo tra le parti che garantiva alla balia uno stipendio, tanti metri di stoffa ogni anno, che andavano a vestire i bambini restati a casa, e un pezzo d’oro o di corallo. Interessante sarebbe studiare questi contratti, ma forse qualcuna l’ha già fatto.

Ma adesso con l’utero in affitto non si chiede solo latte, si chiede molto di più, si chiedono nove mesi di vita e l’occupazione di un corpo umano, un corpo che non potrà immaginare nulla sul bambino che ospita, come in una normale gravidanza perché il bambino che sente muovere, non sarà suo e quindi dovrà pensare a altro, ai cavoli suoi o non penserà, se pensare risultasse troppo doloroso.

Il mercato si organizzerebbe subito, non chiede altro. Il mercato è un lupo dinamico e pieno di immaginazione. Ci saranno delle “case di attesa” per garantire l’”acquirente” sulle condizioni igieniche necessarie e un nutrimento corretto delle donne fattrici? Case a 5 stelle, a 4, a 3, a 2 . In campagna, in città, al mare. I prezzi varieranno. Con i soldi si può fare quasi tutto.

Ci saranno delle visite mediche preventive molto serie, anamnesi severe per diventare fattrici? Ci saranno fattrici di serie A, di serie B, di serie C. Per chi fornirà anche l’ovulo, ci saranno parametri in più: le bionde, le brune, le alte, le bassette, le magre, le grassette, le coscia lunga, “come sono i piedi?, come sono le mani?” ma tutte dovranno essere sane e belle, si belle. Beh, sul fatto di dover essere belle, non ci dovrebbe scandalizzare più di tanto, perché la cultura a cui apparteniamo attraverso mille e mille segnali a partire dalla nascita ci ha fornito di una sorta di eugenetica interiore con cui ogni donna, o quasi, ha a che fare quotidianamente.

Ma adesso voglio dire la cosa che più mi sta a cuore, la vera ragione per cui sto scrivendo, e che non ho sentito dire da nessuno.

Le possibilità che la scienza oggi offre, sono a nostro favore, sono a favore delle donne. Se una giovane donna vuole far carriera congelerà i suoi ovuli dei vent’anni e deciderà poi, quando le converrà, di farne qualcosa di vivo, magari mai. Forse sarà l’azienda stessa ad offrirle questa opportunità, se la considerasse un elemento, dinamico, efficiente, creativo da non perdere. Forse non ci sarà più la necessità delle dimissioni in bianco perché il problema si risolverà così.

Noi vogliamo che le donne viaggino, studino, conoscano il mondo e le sue regole. Vogliamo che le donne governino, decidano. Per tutto questo oggi noi lasciamo i nostri bambini nelle mani di tate fidate, perché non potremmo lasciare anche i nostri bambini da far nascere nella pancia di una donna fidata? Avremo molto più tempo, potremo fare molte più cose. Saremo molto più libere.

Libere? Eccoci al punto. La libertà di cui stiamo parlando è la libertà di cui hanno goduto gli uomini da sempre. Senza bambini, senza panni caldi, senza nausee, senza latte, senza mestruazioni, il corpo maschile ha rappresentato la perfezione per secoli e secoli. È questa libertà che vogliamo? Ci deve essere ben chiaro quello che sta succedendo: si sta appannando il fronte della differenza con gli uomini e si sta rafforzando come non mai il fronte della differenza tra donne ricche e donne povere. Questo è il mondo in cui ci piace vivere? È questo quello che vogliamo?

Ce lo dobbiamo proprio chiedere a questo punto, perché questa faccenda è solo nelle nostre mani. Dipenderà da noi. Gli uomini c’entrano poco e niente, potranno dare una parere, un giudizio, una minaccia, una condanna, ma il corpo delle donne è delle donne soprattutto oggi e sono le donne che faranno o non faranno, che sceglieranno o rifiuteranno.

Perché soprattutto oggi? Le donne sono soggetti centrali della società, non esiste società senza donne, sono sempre state centrali, da che mondo è mondo, ma ora sono libere come non lo erano fino a poco tempo fa. Ora sono centrali e libere. È questa la grande novità.

Che scherzo! noi donne che fino ieri non sapevamo che fosse la libertà, che fino a ieri la nostra parola non valeva neanche per una testimonianza. Tocca a noi decidere se continuiamo a cadere nella libertà degli uomini o a pensare che forse è ora possibile governare con un’altra idea di libertà, la libertà come la pensano le donne.

Come pensano le donne la libertà? Come amano vivere? Cosa è per loro una buona vita?

Su questo dovremo chiamarci a lavorare e dirci le cose più chiaramente. Vogliamo ancora schiavi e padroni? Vogliamo che sia il denaro il medium universale? Vogliamo che sia il potere a fare ordine nel mondo? Vogliamo che sia la forza la ragione di ogni vittoria? Dovremo rispondere a queste domande. Ma queste risposte non le potremo trovare che nella nostra storia e non nella sua cancellazione.

Spesso mi chiedono cosa è una donna, rispondo sempre che non lo so. Non so cosa sia una donna, ma so perfettamente che ne ha fatto la storia: un soggetto fortissimo che ne ha passate tante e che sta ancora in piedi. Io continuo a investirci le mie speranze, ma forse chissà il mercato riuscirà là dove gli uomini della storia non sono riusciti e si mangerà anche loro.

(* Alessandra Bocchetti è tra le fondatrici di Se non ora quando Factory)

 

(www.le27ora.it, 5 gennaio 2016)

Print Friendly, PDF & Email