28 Gennaio 2015
Neue Zürcher Zeitung

Risparmiateci la felicità imposta

 

di Claudia Wirz

Neue Zürcher Zeitung, 3 gennaio 2015

 

Sono finiti i tempi in cui la chiesa e lo stato mettevano le donne al loro posto e prescrivevano loro come vivere e cosa imparare e che cosa invece no. Il femminismo illuminato, un movimento di base tanto tenace quanto coerente, ha vinto lo stato paternalista-patriarcale con mezzi pacifici.

Marthe Gosteli, la grande signora del movimento femminista svizzero, parlando dell’emancipazione delle donne dice con ragione il «più grande movimento libertario incruento». Ora le donne hanno raggiunto l’uguaglianza e sono libere quanto gli uomini, ed è stata realizzata una vecchia rivendicazione liberale.

 

Il ritorno dello stato

 

Grazie all’impegno delle loro coraggiose e decise predecessore, le donne oggi possono decidere liberamente come gestire la propria vita. Questa è una grande conquista di civiltà. Ma a molte non basta. La questione femminile, nonostante la parità realizzata, è un terreno politicamente troppo fertile per non continuare a sfruttarlo. E i vecchi meccanismi di paternalismo di stato sono tornati in un baleno. Questa volta però non sono più seri signori in completo scuro e sguardo severo che cercano di ammaestrare le donne, e di spiegar loro con sollecitudine quali sono i loro desideri e cosa si addice alla loro natura. Questa volta sono donne politiche, consigliere federali, consigliere di parità incaricate e pagate dallo stato, professoresse di gender studies, insomma un’intera industria della parità che sforna con zelo studi e ricerche. Tutte pretendono di sapere ciò che si addice alle donne di oggi. E continuano instancabilmente a spiegare alle donne quali sono i loro desideri e le loro rimostranze, trasformando il tutto in programmi politici.

Il nuovo establishment della parità sembra non aver fiducia nella capacità delle donne di gestire la libertà. Quindi le vuole aiutare, per proteggerle da se stesse e dalle avversità della società libera.

Si cerca dunque di dare alle donne le quote per i posti in direzione e nei consigli d’amministrazione, anche se nessuna li ha chiesti, a parte l’establishment politico. Le quote dovrebbero favorire la carriera. Perché fare carriera, ha scoperto l’Ufficio federale per la parità, non sarebbe facile per le donne. Che questo succeda talvolta anche agli uomini non ha importanza: per le donne in futuro deve diventare sempre più facile.

Ma la felicità imposta non è mai abbastanza. Contro l’ingiustizia della discriminazione salariale, urge soccorrere le donne con una “polizia del salario”. Anche se oggi si può già procedere legalmente contro le discriminazioni comprovate, e anche se non è scientificamente provato che il differenziale salariale medio tra uomini e donne sia effetto di discriminazione. Le idee per trasformare la società nel senso della giustizia tra i sessi non finiscono qui. Congedo di paternità e quote per il part-time maschile – quest’ultima proposta è notevole, vista la mancanza di manodopera qualificata – sono i prossimi impegni in agenda per la realizzazione di un rigoroso egualitarismo di genere.

 

Tutto il bene viene dall’alto

 

Non è rimasto molto del vecchio spirito dell’emancipazione femminile. Quello che una volta era un movimento popolare – cioè in primo luogo un movimento delle cittadine – oggi è diventato dottrina di stato. Il femminismo di stato, che sembra aver per motto che tutto il bene viene dall’alto, apre un vasto campo d’intervento. Lo stato sta cercando indefessamente sempre nuove carenze – in burocratese: nuovi “interventi indispensabili” – per poter regolamentare sempre di più. La responsabilità individuale, che sta all’origine dell’illuminismo e quindi anche del movimento delle donne, è estranea al premuroso femminismo di stato. Non si può rimproverare alle politiche professioniste di operare con un femminismo paternalista di questo tipo. Deve invece preoccuparci la scarsa resistenza verso certi presupposti. Già viene sopportata supinamente la lingua della “parità di genere”, anche se è una stupidaggine. Che oggi già i bambini di cinque anni parlino della loro “persona insegnante d’asilo” dovrebbe darci da pensare. Anche il fatto che il Consiglio federale si pronunci in favore delle quote è irritante. Infatti con le quote non solo si smantella ulteriormente la libertà, ma si squalificano anche le donne, perché si insinua che non ce la farebbero con le proprie forze e che abbiano bisogno di assistenza. E così si genereranno nuove discriminazioni. Le quote non sono altro che una redistribuzione di stato realizzata a spese degli uomini.

L’obiettivo dell’attuale femminismo di stato obbligatorio, non è più, come prima, l’uguaglianza giuridica dei sessi basata sulla parità nella differenza. Oggi si persegue il livellamento di ogni minima differenza nella convivenza sociale. Al tempo stesso nessuno ha la più pallida idea di come apparirebbe una società totalmente ugualitaria. Probabilmente sarebbe piuttosto noiosa, ma anche pericolosa, perché ci sarebbe ovunque il rischio di fare passi falsi e subire le relative denunce. I regolamenti di certi campus americani ne sono un esempio: per ogni approccio tra un uomo e una donna – anche solo per bere un caffè – bisogna quasi fare richiesta preventiva in carta bollata. Che bel mondo nuovo!

 

 

 

Titolo originale: Bloss keine Zwangsbeglückung (Neue Zürcher Zeitung 3 gen. 2015)

 

http://www.genios.de/presse-archiv/artikel/NZZ/20150103/bloss-keine-zwangsbeglueckung/LQM4H.html

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