13 Giugno 2014

Scienza e femminismo. Risposta di Raffaella Molena a Sara Gandini

di Raffaella Molena

Cara Sara,

ho letto con interesse il tuo contributo intitolato: “Scienza, femminismo e l’autorità imperfetta” del 23.5 apparso sul sito web della Libreria e vorrei arricchire quanto dici evidenziando alcune questioni:

– esiste un’“intelligenza del corpo” che va interrogata quando si parla di salute/malattia e medicina. Ogni giorno “a nostra insaputa” il corpo compie un lavoro complesso di riparazione, mantenimento di un certo equilibrio, della salute ecc.; solo quando non ci riesce allora interveniamo “dall’esterno” con medicine e medici (che a volte peggiorano le cose anziché risolverle)

– pazienti sempre meno “pazienti” e sempre più consapevoli di sé e della propria “competenza” rispetto al linguaggio che il corpo usa per esprimersi – assumendosi la responsabilità della propria salute – possono cambiare una certa pratica clinica.

– coltivare il “senso critico” non è sufficiente, non basta per trovare un’originalità come parola positiva. Consente di tenere alto il livello di attenzione nei confronti di un linguaggio che pretende d’essere universale (per due), ma il salto di qualità avviene spostando lo sguardo:

 

«Una delle prime domande che ci siamo poste in IPAZIA riguardava direttamente il nostro amore per la scienza, da un lato, e il paradigma scientifico che, invece, sottolineava come la presenza del soggetto femminile fosse insignificante, non dicesse niente, dall’altro lato. Allora, come potevamo tenere insieme l’amore per la scienza, che pretende d’essere oggettiva in una sola direzione, dire un solo universale, e la fedeltà a sé?

«Sciogliendo, senza tagliare, vincoli inutili, falsamente evidenti, ma non necessari (come neutralità e universalità del soggetto della conoscenza) e cercando nella relazione con altre donne, (e/o cercando nella genealogia femminile donne a cui simbolicamente affidarsi per riconosciuta autorità – penso ad es. a Laura Conti) la mediazione con il vero e il reale che dà senso alla nostra esperienza sessuata, consentendo un esercizio di libertà, anche in ambienti totalmente sfavorevoli (vedi E. Susi, A. Alioli, Sciogliere senza tagliare, VD n° 4, marzo ’92; E. Susi, Questa ricchezza non è perduta per noi, VD n° 3, dicembre ’91)».

 

– Gli studi epidemiologici sono importanti, ma i dati possono dire tante cose diverse, non sono mai neutrali. La loro onesta interpretazione comprende – tiene dentro – solo i sistemi che prende in considerazione per lo studio e comunque senza pervenire mai a conclusioni definitive, come anche tu dici – la scienza è processo dinamico e sempre in movimento.

Tuttavia se ne può fare anche un uso distorto: quando ad es. un medico, rinunciando così alla visione sistemica, usa i dati statistici come riparo, per non “rovinare” dentro la relazione – che ricordiamo dovrebbe avere la qualità di “terapeutica” – col paziente e che non è “formato” a gestire. Pertanto il paziente con i suoi sintomi particolari, che non trova posto fra i dati statistici, diventa allora, statisticamente parlando, solo “rumore di fondo”.

Si potrebbe dire «ci sono i protocolli» e seguendo quei binari la relazione è secondaria, contano i passi, i passaggi che conducono all’obiettivo prefissato, dopo, beninteso, aver firmato un “consenso informato” – che in realtà non informa affatto, ma salvaguarda forse il medico dai tribunali. Anche dai vari Tribunali del Malato, frutto di una concezione della salute da inserire fra i “diritti” da rivendicare come cittadini: meglio sarebbe pensarla come legata alla vita stessa, inalienabile e come valore assoluto, quindi non oggetto di contratto sociale.

Tuttavia anche i protocolli unici e generalisti possono essere declinati e piegati sulle differenze, non sul “genere”, in conseguenza di quanto si decide nella contrattazione fra medico/paziente. Si può anche arrivare a star fuori dai protocolli, a fasi alterne anche entrare e uscire, ecc., istituendo così un protocollo “sensibile” alla relazione medico/paziente e all’efficacia terapeutica, e non per questo meno scientifico, anzi. Nelle scienze del vivente, scientificità è dire il percorso, affinché diventi metodo, non pura biografia.

 

– Nelle scienze del vivente, abbiamo assunto il primato della soggettività e della pratica di relazione con tutto ciò che questo comporta, effetto placebo/nocebo compreso, uno dei primi e più importanti effetti di una relazione terapeutica.

Ricordo a questo proposito gli importanti studi e sperimentazioni che il prof. Fabrizio Benedetti (docente di Fisiologia all’Università di Torino e consultant al National Institute of Health a Bethesda e alla Mind Brain Behavior Initiative della Harvard University), conduce da anni sull’effetto placebo e sulle reazioni neurochimiche che portano alla liberazione di mediatori scatenate da stati emotivi – è noto che le emozioni agiscono sul corpo.

Anche la scienza tradizionale si è accorta da tempo che il pur evanescente ed etereo placebo ha effetti terapeutici molto importanti (sia in positivo che in negativo) e ben vengano gli studi che consentiranno sia un minor uso-abuso di farmaci, sia un miglioramento nella qualità della relazione medico/paziente.

Infatti l’effetto placebo/nocebo ha le qualità proprie della relazione in atto e una sua farmacocinetica, con effetti collaterali compresi. È una strada promettente anche per superare gradualmente gli studi in “doppio cieco” – vero paradosso scientifico – e che provano che l’effetto placebo esiste e agisce – e la sperimentazione sugli animali, i cui risultati, a parte una questione etica, non si possono linearmente traslare sugli umani.

Questi sono solo punti fin troppo sintetici e che non possono dar conto di tutto il lavoro di pratica e di riflessione, seminari, convegni ecc., che io, con molte altre donne, abbiamo svolto e continuiamo a svolgere, prima con la comunità scientifica Ipazia, che in Libreria si è riunita per molti anni, e poi con il gruppo Metis, Medicina e Memoria.

Per questo inserisco per maggiori approfondimenti i testi prodotti e ti allego un mio file .pdf: Uscire dall’angolo con il fiato corto, in cui delineo il percorso compiuto da Ipazia a Metis.

 

  • Ipazia, a cura di, Autorità scientifica, autorità femminile, Editori Riuniti, 1992
  • C. Fisher, G. Lazzerini, a cura di, La misura del vivente, Atti Convegno di Bologna del 21/5/94, Milano, ’94 (nell’ambito delle attività di Ipazia)
  • Ipazia, a cura di, Due per sapere, due per guarire, Quaderni di VD, Milano, 1997
  • A. Alioli, Lei non si scusa, VD n° 1, giugno ’91
  • E. Susi, A. Alioli, Sciogliere senza tagliare, VD n° 4, marzo ‘92
  • E. Susi, Questa ricchezza non è perduta per noi, VD n° 3, dicembre ’91
  • A. Alioli, Dispari uguale potenza, VD n° 2, settembre ’91
  • M. Raimondi, M. Pasquali, Essere due, VD n° 5, giugno ’92
  • A. Alioli, Questioni di ottimo, VD n° 5, giugno ’92
  • A. Alioli, Il senso della sottrazione spiegato da una matematica, VD n° 63, dicembre 2002
  • A. Alioli, Laura Conti. L’amore del vivente, VD n° 12, sett.-ott. ’93
  • A. Alioli, Lettere a Via Dogana. Lei sa come si fa, VD n° 21-22, maggio-sett. ’95
  • Ipazia (M. Antonelli, M. Pasquali, E. Susi), Lettere a Via Dogana. A proposito di “La differenza dei sessi in biologia”. Superiorità biologica? VD n° 17-18, luglio-ott. ’94
  • E. Susi, Superiorità biologica versus ordine simbolico, VD n° 20, febbraio-marzo ’95
  • Metis, a cura di, Corpi Soggetto: pratiche e saperi di donne per la salute, ed. F. Angeli, Milano, 2000 (Atti del convegno)
  • Metis, a cura di, Le donne e il cancro al seno, Quaderni Metis, Milano, 2004
  • Metis, a cura di, Ma c’è la vita, Quaderni Metis, Milano, 2007
  • G. Martino e H. Godard, Il dis-agio in senologia oncologica, Quaderni Metis, Milano, 2013

 

Raffaella Molena

 

P.S. Se avessi voglia di leggere l’ultimo libro di Gemma Martino, del 2013, in vista di una possibile presentazione in Libreria, di cui potresti essere – questa è una proposta – una delle relatrici, fammelo sapere che te lo faccio avere.

A presto

 

Print Friendly, PDF & Email