17 Dicembre 2014
il manifesto

Se il corpo del potere è solo un artificio

di Bia Sarasini

 

Ber­lu­sconi non l’aveva por­tato la cico­gna», scrive Ida Domi­ni­janni in con­clu­sione del suo libro bello e com­plesso Il trucco. Ses­sua­lità e bio­po­li­tica nella fine di Ber­lu­sconi (Ediesse, pp. 251, 14 euro) che sarà pre­sen­tato domani 18 dicem­bre a Roma (con Maria Luisa Boc­cia, Laura Baz­zi­ca­lupo e Mario Tronti, ore 17.30, Fon­da­zione Basso via della Dogana Vec­chia 5). Insomma, Ber­lu­sconi non era ine­vi­ta­bile, si sareb­bero potute imboc­care altre strade. Una verità sem­plice, quasi ele­men­tare eppure dif­fi­cile da deci­frare, come si è visto nei vent’anni in cui il pro­prie­ta­rio di Media­set è stato al cen­tro della scena del nostro Paese. E come si ricava dalla let­tura di que­sto sag­gio avvin­cente e stra­ti­fi­cato, che fa della fine del lea­der che ha domi­nato la scena ita­liana un caso esem­plare di sto­ria poli­tica, ben oltre la dimen­sione della cro­naca e anche dei pun­tuali com­menti con cui l’autrice ne ha accom­pa­gnato la vicende sulle pagine di que­sto gior­nale, per non par­lare del regi­stro ammic­cante che ha imper­ver­sato per anni nei media italiani.

Ber­lu­sconi o della via ita­liana alla gover­nance neo­li­be­rale, que­sta l’ottica attra­verso la quale Domi­ni­janni invita a leg­gere i vent’anni appena pas­sati. Quindi non pura ano­ma­lia, non una demo­cra­zia malata nel con­te­sto delle vir­tuose e risolte demo­cra­zie euro­pee e in gene­rale occi­den­tali, secondo l’interpretazione cara a buona parte dell’opposizione all’ex-cavaliere, soprat­tutto alla sini­stra mode­rata e radicale.

All’opposto, il caso estremo di una tor­sione pos­si­bile e pra­ti­ca­bile della rap­pre­sen­tanza, della ride­fi­ni­zione del rap­porto tra chi elegge e chi viene eletto, devia­zione con­si­de­rata con grande pre­oc­cu­pa­zione nel con­te­sto inter­na­zio­nale, come risulta dalla ricca biblio­gra­fia che accom­pa­gna il testo, esem­pio per­verso di sosti­tu­zione della rap­pre­sen­tanza con la «pre­senza». Come se, nell’offrirsi in pasto in corpo e figura, per così dire, si met­tesse in scena un rap­porto diretto tra lea­der e rap­pre­sen­tati, senza media­zioni, can­cel­lando isti­tu­zioni, regole, corpi inter­medi. E non ci vuole molto a vedere che que­sto è esat­ta­mente ciò che avviene nelle demo­cra­zie, que­sto è quanto pro­se­gue del ber­lu­sco­ni­smo, in Ita­lia e in Europa, nelle nuove lea­der­ship populiste.

Per rico­struirne il qua­dro Ida Domi­ni­janni si avvale di chiavi di let­tura plu­rime. La più ori­gi­nale è, rispetto alla vul­gata, una perio­diz­za­zione della vicenda ita­liana diversa da quella con­sueta, «che fissa l’origine del ven­ten­nio ber­lu­sco­niano nel crollo del sistema poli­tico della cosi­detta Prima Repub­blica nel ’92–93», all’epoca di mani pulite.

Per effet­tuare que­sto spo­sta­mento Domi­ni­janni si rife­ri­sce con for­mula ori­gi­nale alla «con­giun­tura Sessantotto-femminismo», ovvero ai movi­menti a cui fin dagli anni Set­tanta la poli­tica uffi­ciale, e la sini­stra in par­ti­co­lare, non hanno dato rispo­sta, lasciando via libera all’instaurazione a par­tire dagli anni Ottanta dell’ideologia e delle pra­ti­che gover­na­men­tali neo-liberali. Ori­gi­nale in modo spe­ciale è l’associare Ses­san­totto con il fem­mi­ni­smo, movi­mento che è tut­tora tenuto fuori della rico­stru­zioni cor­renti della sto­ria italiana.

È que­sto l’asse che per­mette a Domi­ni­janni un’interpretazione chiara dei fatti di cui tutt* siamo stat* par­te­cipi, più o meno mor­bosi. È la con­giun­tura Sessantotto-femminismo che ha fatto sal­tare l’asse pubblico-privato, in una via che dal «vie­tato vie­tare» ha por­tato a «il pri­vato è poli­tico». Sono le donne che escono dal domi­nio patriar­cale a far sal­tare i con­fini, a uscire dalla zona d’ombra della vita fami­gliare in cui sono relegate.

L’effetto è dirom­pente. Sono tre figure fem­mi­nili a far sal­tare la costru­zione ber­lu­sco­niana. Rico­strui­sce Domi­ni­janni: l’intellettuale (la poli­to­loga Sofia Ven­tura), la moglie (Vero­nica Lario), la pro­sti­tuta (Patri­zia D’Addario). Tre donne che par­lano, che dicono in pub­blico quello di cui il sistema patriar­cale non si è mai curato, per­ché con­se­gnato al silen­zio del pri­vato. A que­ste donne, le prime, se ne son poi aggiunte altre, che abbiamo impa­rato a cono­scere per nome. Noemi Leti­zia, Ruby, quelle che tutti ormai chia­mano le Olgettine.

È inu­tile rico­struirne la cro­naca, pro­cessi, con­danne e asso­lu­zioni dell’ex pre­mier ancora ci accom­pa­gnano, sono il pen­dant del suo declino poli­tico. Il punto dolente è che la sini­stra, quella sini­stra che ha tagliato con la «con­giun­tura Sessantotto-femminismo», insomma l’ampio fronte dell’opposizione a Ber­lu­sconi, ha rifiu­tato que­sta lettura.

Il pri­vato è pri­vato, è stato detto, quello che cia­scuno fa a casa sua sono affari suoi. Senza com­pren­dere che il cen­tro della gover­nance ber­lu­sco­niana, il «trucco» come lo defi­ni­sce Domi­ni­janni, era il «viri­li­smo vir­tuale», «rico­stru­zione arte­fatta di una potenza per­duta», punto nel quale ha preso corpo il primo impor­tante discorso pub­blico da parte di uomini sulle maschere della viri­lità. Un trucco che si per­pe­tua anche nel nuovo lea­der, Mat­teo Renzi, in altra forma, ovvero: non il noi pos­siamo, ma «tu sai fin­gere di potere quello che noi non possiamo».

Senza ascol­tare il fem­mi­ni­smo, sostiene Domi­ni­janni in pagine molto effi­caci, la sini­stra, o meglio gli uomini della sini­stra, si sono con­dan­nati all’autoreferenzialità, inca­paci di com­pren­dere quanto avviene, nell’impossibilità di tro­vare l’exit stra­tegy dalla crisi. Eppure le donne sono parte del gioco, argo­menta pun­tual­mente l’autrice del libro. Che sulla libertà delle donne, e l’esito della parola libertà diven­tata appan­nag­gio della destra, costrui­sce un’altra delle sue illu­mi­nanti chiavi inter­pre­ta­tive. Fare del pro­prio corpo e della bel­lezza una vera pro­pria arma della poli­tica e del potere è oggetto non solo di dibat­tito poli­tico tra donne, ma diventa uno stru­mento di poli­ti­che e di gover­nance, come mostra il governo Renzi. Che, come Ber­lu­sconi, le usa, ma in una forma deses­sua­liz­zata mode­rata e tran­quil­liz­zante, nota Domininjanni.

Per­ché anche il genere, nella pre­sunta libertà per­for­ma­tiva del neo­li­be­ra­li­smo, è un trucco. Da smascherare.

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