21 Gennaio 2014
il manifesto

Se la poli­tica non incro­cia la sof­fe­renza degli uomini e delle donne

di Enzo Scandurra

 

Carla Rava­ioli è stata tro­vata morta il 16 gen­naio. Morta in… “per­fetta” soli­tu­dine nella sua bella casa di via del Semi­na­rio, al cen­tro di Roma, accanto al Pan­theon. C’è da riflet­tere su come una per­sona così pub­blica possa morire in una grande città senza quasi che nes­suno dei suoi amici lo sap­pia; spa­rire nel nulla, nell’oblio della dimen­ti­canza. Della soli­tu­dine degli anziani, dello sfal­da­mento dei legami comu­ni­tari, della dis­so­lu­zione delle rela­zioni ami­cali, la poli­tica non se ne occupa. Dei sen­ti­menti, di ciò che ci lega l’uno all’altro, della rete invi­si­bile di ami­ci­zie, per­corsi, sto­rie con­di­vise, non ne rimane trac­cia se non nel pri­vato del dolore per­so­nale. Carla ne sof­friva; era troppo fiera per lagnar­sene in pub­blico, ma ne sof­friva. E il suo carat­tere già ruvido, poco incline alle lusin­ghe e spesso pro­vo­ca­to­rio, in que­sta soli­tu­dine aveva accen­tuato que­sti aspetti. Eppure quando ci si vedeva a cena tutti insieme, lei finiva col mostrare quel lato dolce e affet­tuoso che teneva riser­vato; espri­meva a volte una inge­nuità con­tra­stante con quella sua imma­gine severa e burbera.

In que­sto deso­lato vuoto della poli­tica occorre ripen­sare i rap­porti umani, le nostre sog­get­ti­vità fram­men­tate e imbar­ba­rite, i sen­ti­menti troppo facil­mente rimossi da ina­de­guata ver­go­gna. Altri­menti nes­suna poli­tica è pos­si­bile. Carla era una mili­tante, una com­pa­gna, una per­sona che aveva attra­ver­sato tutte le grandi que­stioni nove­cen­te­sche: il lavoro, l’ambiente, il fem­mi­ni­smo, il disarmo. Vivere a due passi dal Pan­theon non le ha evi­tato di morire in soli­tu­dine. A Roma suc­cede anche que­sto: si può scom­pa­rire in mezzo alla folla, diven­tare una pra­tica ingom­brante, un corpo pri­vato della pietà degli amici, sot­to­po­sto alla umi­lia­zione dell’autopsia.

È scon­cer­tante la distanza della poli­tica dalla vita quo­ti­diana. C’è da chie­dersi in che dire­zione stiamo andando per­ché senza più la soli­da­rietà che ci lega, senza quei sen­ti­menti di pietà, di rico­no­sci­mento umano, niente fun­zio­nerà mai, nes­suna nuova sini­stra sarà mai possibile.

Que­sta nostra città — Roma — è anche una città imbar­ba­rita, una città cru­dele; una città che, forse, “distratta” dalla sua glo­riosa sto­ria, è spie­tata e indif­fe­rente alla sorte di ognuno di noi, chiusa nella sua austera e vetu­sta fis­sità, quasi fosse ancora la città degli impe­ra­tori, dei papi, del fasci­smo e del cle­ri­ca­li­smo. Roma così non l’avevo mai vista è il titolo del rac­conto che Paso­lini fa della città in occa­sione dei fune­rali di Di Vit­to­rio: “[…] Guardo anche gli altri. Pian­gono, con una smor­fia di dolore dispe­rato. Non si curano né di nascon­dere né di asciu­gare le lacrime di cui hanno pieni gli occhi”. Se la poli­tica non incro­cia la sof­fe­renza degli uomini e delle donne, allora ha perso di vista la pro­pria diret­tiva pri­ma­ria: il valore di essere insieme. E di que­sta poli­tica non sap­piamo che farcene.

(il manifesto, 21 gennaio 2014)

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