26 Novembre 2014
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Se si vuole operare contro la violenza

di Chiara Saraceno

 

Ho letto con un certo sgomento quanto Recalcati ha scritto su Repubblica per condannare la violenza che troppi uomini praticano contro le donne. Equiparandola ad una forma di razzismo intesa come negazione della libertà dell’Altro, Recalcati scrive: “La donna, infatti, è una delle incarnazioni più forti, anarchiche, erratiche, impossibile da misurare e da governare, di questa libertà. Il suo stesso sesso non è visibile, sfugge alla rappresentazione, è nascosto, si sottrae alla presa dell’evidenza. La loro identità, difficile da decifrare, non risponde mai a quella della divisa fallica degli uomini. Proprio per questo le donne possono essere l’oggetto di una violenza inaudita. Possono essere aggredite, offese, maltrattate, uccise proprio perché sfuggono ad ogni tentativo di possesso, perché coincidono con la libertà”.

 

Che cosa mi sgomenta e disturba in queste affermazioni? La definizione unidirezionale “della donna” (assoluto singolare) come Altro. Come se anche l’uomo maschio non fosse Altro per la donna, ovvero come se l’essere umano non fosse costituito da questo dualismo, simmetrico e insieme innervato da una pluralità di differenze che rompono quei due singolari assoluti e quella maiuscola. Perché mai l’identità delle donne dovrebbe essere più difficile da decifrare di quella degli uomini? Solo un punto di vista che pone, per quanto criticamente, il maschile insieme come assoluto singolare e come metro di giudizio, può considerare le donne l’Altro assoluto, misterioso, inconoscibile (perfino alle donne stesse), irrapresentabile.

 

Ha ragione Recalcati a dire che non basta l’educazione sessuale intesa come informazione sugli apparati genitali di uomini e donne, a far maturare rapporti tra uomini e donne meno esposti al rischio di violenza e sopraffazione. Che occorre anche un’educazione sentimentale, che favorisca il riconoscimento dell’irriducibilità dell’altro/a (con la minuscola, però) a sé e della sua libertà. Ci mancherebbe. Ma non è utile neppure un’ipostatizzazione misterica della donna come Altro dall’uomo (oltretutto senza reciprocità).

 

Quando non suscita in uomini intellettualmente sofisticati riflessioni suggestive come quelle di Recalcati, una simile ipostatizzazione rischia di provocare negli uomini non solo o tanto paura, ma disprezzo, senso di superiorità, svalorizzazione delle donne e di quanto fanno o aspirano a fare, autorizzazione al desiderio di possesso, violazione della libertà, fino alla violenza. Dall’Altra irridicibilmente diversa, cristallizzata nella sua differenza, e perciò in conoscibile, all’altra inferiore e perciò utilizzabile a piacere, il passo è molto breve.

 

Se si vuole operare contro la violenza forse è più opportuno togliere maiuscole, introdurre il plurale, e ragionare sul fatto che l’alterità è condizione normale nelle relazioni tra esseri umani, una condizione che mobilita sia l’uguaglianza nell’aspettativa reciproca di riconoscimento e rispetto, sia la conoscenza, per quanto sempre imperfetta, parziale, in progress – proprio come le identità.


(blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it, 26-11-2014)

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