3 Ottobre 2014

Severgnini: un sostegno con la coda avvelenata.

di Marta Equi

 

L’articolo di Beppe Severgnini sul Corriere della Sera di venerdì 26 è un testo in bilico.

E’ già stato criticato da altre ed altri, e io voglio qui dire la mia. Parla una che, per ragioni anagrafiche (ho 27 anni),  non ha mai conosciuto il vecchio femminismo.

 

L’autore, che scrive per promuovere l’iniziativa “Il Tempo delle Donne” del quotidiano, al cui variegato palinsesto ha aderito anche la Libreria Delle Donne, esordisce andando subito al punto: le donne, dice “chiedono correttezza e giustizia, certo. Ma hanno bisogno, soprattutto, di libertà.”

E conclude poi su come le donne non debbano più dimostrare nulla, perché “ in questi anni complicati hanno dato prova, in ogni campo, di possedere immense qualità”. Infatti non c’è nulla da dimostrare, dico io, poiché noi gioiosamente viviamo, pensiamo, facciamo.

Severgnini usa alcune belle espressioni nel testo, che chiude con una confessione di ammirazione verso le donne e le loro spesso silenti azioni quotidiane.

 

Nel corpo dell’articolo però, proprio quando doveva elaborare il pensiero centrale che lo traghettasse alla conclusione, si appiglia ad uno stereotipo che non solo annoia ma anche, come spesso accade, fa male. Il tema è il superamento di “un femminismo iracondo” che non ha avuto esiti felici se non schieramenti di donne contro uomini, moltitudini di donne “amareggiate dietro ad una scrivania, inacidite intorno ad un tavolo” etc.

Segno di questo femminismo è il desiderio di alcune di essere nominate con titoli maschili. Cosa sbagliata, dice Severgnini, che porta in causa la  lingua italiana e la sua meravigliosa possibilità di  fare la differenza nelle parole, e porta il bell’ esempio dell’espressione “Avvocata nostra” del Salve Regina.

E se il corpo dell’articolo si porta avanti per stereotipi, il titolo è tremendo: “Addio al vecchio femminismo.”

 

Se per vecchio femminismo s’intende il femminismo della parità, niente da dire. Se invece, come il titolo lascia intendere, ci si riferisce al femminismo degli anni settanta, è doveroso, per fare buona informazione, ricordare alcune cose.

Lo faro io, che non ho mai conosciuto il vecchio femminismo, ma che ho avuto la fortuna di incontrare delle vecchie femministe.

 

E’ proprio il femminismo degli anni 70 che fa della libertà il proprio cardine, sono proprio le persone vicine a questo femminismo che si battono affinché il dibattito sulle donne non sia esclusivamente incentrato su carriera e modalità di assimilazione nella torre del potere, attraverso l’identificazione con modelli maschili, ed è proprio il vecchio femminismo, innamorato della parola, che da sempre ricorda come nella nostra lingua, attraverso la corretta articolazione dei generi, possa e debba brillare la differenza.”[1]

 

L’inacidimento dietro ad un tavolo e l’amarezza sorgono quando si sceglie di spendere una vita scissa, volta all’inseguimento di traguardi e aspettative altrui. Il femminismo ricorda alle donne che la felicità è una cosa possibile.

 

[1] Sul tema, un articolo di Luisa Muraro http://www.libreriadelledonne.it/la-lingua-batte-dove-il-dente-duole/

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