4 Febbraio 2015
Corriere della Sera

Si apre in Vaticano la discussione dedicata alle culture femminili.

di Paola Pica e Maria Silvia Sacchi

 

«Le donne stanno finalmente imparando a chiedere aiuto e gli uomini sono più disponibili a darlo». È un messaggio di speranza quello che arriva da Silvia Cantarelli, insegnante di sostegno in un liceo linguistico toscano, abituata per mestiere a occuparsi di uguaglianza e differenza.

Le sue parole raccontano la transizione che il nostro Paese ha iniziato a vivere. Ma non bisogna abbassare la guardia, visto che i dati complessivi dicono come le donne si muovano ancora in un quadro di uguaglianza formale ma di disuguaglianza sostanziale. Che a volte è anche difficile da spiegare, nascosta come sta nelle pieghe della vita quotidiana.

Si apre oggi l’Assemblea plenaria del Pontificio consiglio della Cultura voluta dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente dello stesso Consiglio, teologo ed ebraista. «Culture femminili tra uguaglianza e differenza» è il titolo che tiene insieme quattro giorni di lavori, dall’apertura pubblica al teatro Argentina questo pomeriggio alle 15.30 all’udienza di chiusura sabato da Papa Francesco al Palazzo Apostolico. Un’iniziativa coerente con i molti segnali lanciati da Francesco. Sin dai suoi primi passi da Vescovo di Roma, Bergoglio ha sollecitato l’attenzione sul ruolo della donna fuori e dentro la Chiesa, annunciando proprio a questo giornale un percorso di «approfondimento teologale». Il cardinale Ryłko, con il Consiglio dei Laici , aveva detto «sta lavorando in questa direzione con molte donne esperte di varie materie ». Più di recente, Francesco è tornato ad auspicare la presenza delle donne «nei luoghi dove si decide» e indicato, tra altre cose, la via di una genitorialità e di una maternità responsabile.

Maternità e identità sono punti chiave nella riflessione sulla condizione femminile. Tanto che su questi temi sarà incentrata, il prossimo settembre, la seconda edizione de «Il tempo delle donne», la tre giorni di partecipazione e confronti a Milano organizzata dal blog del Corriere della Sera, La 27Ora. E dalle voci delle donne che ascoltiamo quotidianamente sale chiara e forte una richiesta di «serenità». Quella serenità che viene dal poter essere se stesse, senza dover corrispondere a modelli imposti. In particolare, sul diventare o meno madri.

L’equazione disoccupazione-culle vuote non è mai stata vera come oggi; ma anche chi il lavoro ce l’ha, e dunque è più propensa a diventare madre, deve poi fare i conti con quella disparità sostanziale che fa diventare un figlio un problema. «L’Italia è un Paese che ostacola il desiderio di maternità», dice Cristina in uno dei contributi video raccolti in vista della Plenaria. Possiamo darle torto?

Sono circa 800 mila (l’8,7%) le madri che secondo l’Istat hanno subito dimissioni in bianco. Le donne vorrebbero almeno due figli ciascuna ma, tra mille difficoltà, ne fanno solo 1,3, uno dei tassi più bassi in Europa. Così come ci poniamo in fondo alla classifica della Ue, per il tasso di occupazione (46,6% contro il 60% della vicina Francia). D’altra parte, l’Italia investe in politiche per la famiglia solo l’1,37% del Pil (2,2% la media Ocse). Tutto racconta di un sistema che spinge le donne a occuparsi solo della cura della famiglia, destreggiandosi tra pediatri e geriatri come nessun’altra in Europa. Anche se non mancano i segnali positivi, come l’aumento delle donne in politica e nelle posizione di vertice.

Tutte le analisi possibili sono state fatte e le proposte avanzate da più parti. Il passaggio principale resta quello culturale, con la promozione di un effettiva parità tra i generi e la ferma condanna dell’idea della donna subalterna o, peggio, «proprietà» dell’uomo. Sul piano concreto, occorre incentivare il lavoro femminile che dà indipendenza, dignità alla persona e, fatto non secondario, riduce la povertà dei bambini. Lo dice anche la Banca mondiale: le donne investono in istruzione e salute dei figli. Cambiare si può.

 

(Corriere della Sera, 4 febbraio 2015)

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