di Massimo Lizzi
Il sessismo del Fatto Quotidiano si ripete nel tempo, da quando Maria Elena Boschi era ancora una sconosciuta. Il Fatto pubblica gli articoli misogini di Massimo Fini; ospita il blog di Marcello Adriano Mazzola, avvocato antifemminista, sostenitore della Pas e negazionista del femminicidio; assume come notista di punta, Andrea Scanzi, capace di insolentire persino i centri antiviolenza, per difendere Fabri Fibra che inneggia allo stupro, poi di prender parte alla canea insorta contro Laura Boldrini, rea di criticare la pubblicità perché rappresenta sempre la donna come una mamma che cucina e serve in tavola; prende a bersaglio la presidente della camera e le donne del PD, con frequenti riferimenti alla voce, ai vestiti, all’aspetto fisico; l’estate scorsa si è cimentato in un testo ironico che limitava alle donne con i piedi belli il diritto di calzare scarpe aperte. Ha come direttore e firma più autorevole Marco Travaglio, schierato dalla parte del M5S contro Laura Boldrini, quando Grillo chiede ai suoi seguaci cosa ci farebbero con la Boldrini in macchina; difensore di Franco Battiato, quando afferma che «il parlamento è pieno di troie», con un testo dal titolo eloquente «Il re è nudo la regina è troia»; sostenitore del principio egualitario secondo il quale è democratico che la presidente della camera riceva gli insulti che tutte le donne ricevono, nonché autore di numerose battute sulla ministra Boschi solo adatta a togliere la polvere sui davanzali del parlamento, a trattare di cellulite, prova costume, girovita, ricerca di fidanzati e desideri di maternità. Lei è la donna trivellata, quando lui titola sui PM che la interrogano. Vignettista del quotidiano è Vauro, che sculaccia la Fornero, la rappresenta vestita da squillo e si sbizzarisce in ripetuti doppi sensi dedicati a Maria Elena Boschi. Il sostituto estivo, Riccardo Mannelli, le dedica lo stato delle cos(c)e sotto il titolone di prima pagina: Boschi inconstituzionale, seguita dai relativi commenti. Cosa c’entrano le cosce con la Costituzione? La vignetta è stigmatizzata da Nadia Urbinati.
Oltre la consueta sacralità della satira, il Fatto Quotidiano si difende dalle accuse di sessismo con giustificazioni di questo tipo.
- La libertà di espressione. Il giornale è pluralista e democratico, dà spazio anche ai maschilisti. Il che significa che sulle questioni di genere, il giornale non ha una linea e dà la parola un po’ all’uno e un po’ all’altro, ne fa occasione di intrattenimento, cosa che non fa su altri temi: la Costituzione, la questione morale, la legalità. Questo dipende dal fatto – come notò Michela Murgia – che il giornale vede il sessismo, non come una questione politica, ma solo come una questione di costume.
- La parità. Quel che il giornale scrive contro personalità femminili lo scriverebbe anche contro personalità maschili. La cosa, in verità non avviene. È vero che il Fatto sa essere sgradevole anche contro suoi avversari maschi, ma non in termini che possano definirsi sessisti. Dire di un tale che è imbecille e disonesto, non va oltre la sua persona, non colpisce una appartenenza. Ma anche se avvenisse un sessismo contro gli uomini sarebbe innocuo, perché non in continuità con violenze, discriminazioni e svantaggi a danno degli uomini. Lo sfondo storico, culturale, sociale è patriarcale, stereotipi e pregiudizi verso un sesso o verso l’altro non pesano allo stesso modo e i rovesciamenti non sono riparatori.
- Il benaltrismo. Ci sono cose più importanti per cui indignarsi: quel che va contro la democrazia, la questione morale, la pace, il lavoro. Ciò, può essere vero come opinabile. Disprezzare le donne produce effetti abbastanza gravi, che possono pure considerarsi i più gravi. Come che sia, l’austerity della UE sarà più o meno grave dell’avversione ai meridionali o agli immigrati, ma non ne discuto con un leghista.
- L’inadeguatezza delle donne bersagliate. Questa giustificazione, come la precedente, ricorre nella difesa di Stefano Feltri e dello stesso Riccardo Mannelli. Boschi non ha argomenti, non sa argomentare quindi di lei rimane impresso solo l’aspetto fisico, che perciò viene ritratto nei disegni (e magari negli articoli). Tuttavia, l’inadeguatezza vera o presunta di Maria Elena Boschi non è diversa da quella dei suoi colleghi maschi, i quali non sono messi in evidenza per il loro aspetto fisico o per le fantasie sessuali che suscitano. Chi rimprovera mancanza di argomenti, dovrebbe metterci i propri, non il sessismo che è una povertà di argomenti assoluta. Nel dibattito politico, troppo spesso il dissenso è rimpiazzato dal disprezzo, che meglio parla alle pance e risparmia la fatica di argomentare e spiegare. Gli uomini hanno sempre giustificato la strumentalizzazione delle donne con il fatto che le donne sarebbero intellettualmente inferiori. Con Maria Elena Boschi si pretende di riesumare questo ciarpame misogino, che fa leva sullo stereotipo della bellona stupida. Calderoli potrebbe ritenere che Cecilie Kyenge non ha argomenti, non è capace ad argomentare e che l’unica cosa che di lei si nota è la sua pelle nera, così da sentirsi lui legittimato a trattare solo di questa. Come ha fatto. Cosa potrebbero obiettargli Feltri e Mannelli con la loro ricchezza di argomenti?
Io sono in dissenso con il partito, il governo, la riforma di Maria Elena Boschi e con lei stessa. Spesso mi fa incavolare, ma questo non mi porta a ritenere di essere superiore a lei sul piano intellettuale. In verità, non mi sento superiore neanche a Travaglio, Scanzi, Vauro e Mannelli. Stupisce che dei professionisti dell’informazione ostentino invece, in modo così adolescenziale, una tale presunzione.
Il Fatto Quotidiano non è l’unico giornale che fa ampie e frequenti concessioni al sessismo. È uno dei tanti. Questo è doloroso, perché il Fatto è il giornale di opposizione, occupa il posto che un tempo era dell’Unità o del Manifesto. Inoltre, Travaglio è stato un simbolo dell’antiberlusconismo, l’archivio vivente dell’opposizione democratica. C’è ancora, nei confronti di questi giornalisti un’aspettativa civile molto alta. Lascia perplessi la loro estraneità al femminismo, uno dei più importanti movimenti di liberazione, forse il più importante. Una parte del Fatto, Travaglio stesso, proviene da destra, ma può evolvere, su tante cose si è evoluto. Scanzi, invece, proviene da sinistra, ma non è meglio.
Sul sessismo giocano varie ambivalenze. La più grossa, già analizzata da Chiara Volpato, è quella che distingue una versione benevola da una versione ostile. In quella benevola sono omaggiate le virtù femminili favorevoli al maschio e lei è trattata come una principessa. Un atteggiamento ritratto da Balzac nell’idea che la moglie è una schiava che bisogna saper mettere sul trono. Nella versione ostile le donne sono trattate da prostitute. I due sessismi convivono e si alternano nella stessa società e nelle stesse persone. Tanto più è forte il sessismo ostile tanto più le donne imparano ad apprezzare quello benevolo. Il bastone e la carota, insomma. In una società patriarcale evoluta, stabile, pacifica, ordinata, il sessismo benevolo è egemone. Questo può far credere a qualche ribelle che il sessismo ostile sia anticonvenzionale, trasgressivo, rivoluzionario: il disprezzo delle donne ostentato dal manifesto futurista; tanta parte della pornografia confusa con la liberazione sessuale; il riscatto sociale metaforizzato nel proletario che violenta l’aristocratica o la borghese, come in varie scene di film degli anni ’60 e ’70, il più famoso quello di Lina Wertmüller con Giancarlo Giannini e Mariangela Melato.
I giornalisti maschi del Fatto, faticano a comprendere le critiche ricevute, si sentono richiamati al sessismo benevolo (spesso questo richiamo, in effetti, c’è), ricadono nella ripetizione, perché sono immersi in questa visione delle cose. E vedono cosce. Oppure no, oppure sono soltano una vecchia banda di arrapati allevati dal Drive in degli anni ’80.
(massimolizzi.it, 11/8/2016)