10 Gennaio 2014

TAM TAM di Vita Cosentino

di Antonietta Lelario

 

Noi abbiamo ereditato dal pensiero maschile una visione misera del presente, di ciò che è vicino o piccolo. Ne sono derivati guasti nella concezione della Storia, della Politica, perfino della Religione. I sogni eroici sono stati contrapposti alla realtà quotidiana, le grandi utopie realizzabili a partire dall’azzeramento del presente, Dio visto come estrema perfezione, eterno, onnipresente, onnipotente in contrapposizione all’imperfezione umana. C’è voluta la riscoperta della tradizione mistica femminile, donne come S. Weil, come E. Hillesum, c’è voluta la rivoluzione simbolica del Novecento per pensare ad un dio che ha bisogno di noi, su cui si ripercuote la nostra fragilità, perché dipende dalla relazione che noi sappiamo costruire con il divino.

La strada intrapresa dalle donne è quindi differente. Il Dio delle donne si chiama un libro di Luisa Muraro, una delle studiose più attente e appassionate a questo aspetto della ricerca.

Molte donne quindi hanno visto il guasto e si sono messe all’opera per modificare quel pensiero. Fra queste Vita Cosentino.

Il suo libro Tam Tam (con un testo di Luisa Muraro, Edizioni Gransasso Nottetempo 2013) è un libro sulla capacità di stare al presente, anche quando è difficilissimo. Perché il presente non è solo disordine. Pensarlo vorrebbe dire dimenticare tutto ciò che ci appassiona, tutti coloro che amiamo e noi stesse.

Le donne sono diventate cercatrici d’oro per trovare ciò che di prezioso c’è nel presente. Questa ricerca è ciò che rende appassionante, intenso e vitale Tam Tam.

Lo scritto nasce da una malattia invalidante, capitata all’improvviso e inaspettatamente, durante la quale Vita deve imparare a convivere con dei limiti mai immaginati, ma il desiderio che muove la scrittura non è come si potrebbe credere un tentativo di mettere in parole per liberarsi del dolore. No. Per stare a questo nuovo presente lei ha dovuto chiedersi ciò che vuole buttare via, ciò che vuole salvare e ciò che cerca: i filoni d’oro che sono anche in questo presente così disastrato.

Il suo librino, come lo chiama lei, è il racconto in terza persona di questa vicenda: narrazione autobiografica, ma anche e soprattutto percorso simbolico.

Infatti anche stilisticamente si presenta come tanti piccoli episodi, medaglioni che si chiudono con una domanda che dice quanto il mistero della realtà sia più grande della nostra capacità di dire, oppure che raccontano come l’incontro con i fisioterapisti si sia trasformato in un’amicizia grazie alla curiosità, al dialogo sulle notizie del giorno, dandole nuovi stimoli per “ascoltare la rassegna stampa del mattino”, oppure ancora alcuni episodi mostrano come si tengono insieme dolore, gioia, ironia e comprensione umana, altri fanno vedere la tensione fra un nuovo ascolto del corpo e la cura dell’anima e, poi, tanti ritratti di pazienti, operatori sanitari, amiche e familiari.

Trame sottili attraverso cui si riconoscono le figure di senso che lei intravede, il suo filone d’oro.

Ciò che le dà la forza è la sua “ansia di vivere prepotente, quasi provocatoria”.

Ciò che la orienta è uno sguardo sulle cose in cui non c’è moralismo, ma desiderio di godimento.

È il suo amore per la vita a guidare la sua attenzione e a rendere preziose le cose che le accadono, è il suo amore per la vita che la spinge a reagire con creatività alle carenze ospedaliere, è lo stesso amore che le fa valorizzare gli angoli di benessere.

Che cosa c’è di più etico e al tempo stesso politico, ma anche così necessario alle nostre esistenze, che conservare anzi difendere l’amore per la vita in tempi bui?

In questo libro si mostra nel modo più efficace come il partire da sé delle donne non si esaurisca nell’attenzione a sé, infatti il libro si popola degli altri pazienti che incontra negli ospedali, nelle palestre e soprattutto si affolla di amiche mostrando, come dice Letizia Bianchi, la nuova società femminile che riempie ormai le nostre vite, luogo di impegno politico, di elaborazione, ma anche di sentimenti, aiuto, in cui si gioca la capacità di dirsi dei sì, ma anche la necessità di dirsi dei no, la fiducia e la forza per sostenere le contraddizioni.

Il rapporto della protagonista con il marito è un altro spiraglio sui mutamenti del nostro tempo perché, fuori dalle centomila rappresentazioni vecchie o stereotipate, fa vedere come il rapporto di coppia sia stato messo anche duramente alla prova in questi anni di femminismo, ma in molti casi si sia evoluto verso un rapporto adulto fra soggetti che sanno vedersi nella loro differenza e proprio per questo sanno stare l’una/o vicino all’altro/a in modo nuovo. Non a caso in un articolo su Via Dogana lei aveva già parlato del cambiamento della famiglia come di uno dei cambiamenti più evidenti della nostra epoca.

Il libro ispirato quindi da una situazione personale diventa scorcio per vedere il mondo che cambia sotto i nostri occhi: la cosa più difficile da vedere e da dire.

Ma anche, come dice Gian Piero Bernard, nel libro si vede come la necessità, in questo caso quella di stare alla contingenza, si intrecci con la difesa strenua della libertà conquistata eppure sempre da riconquistare.

(Foggia 12 dicembre 2013)

 

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