di Massimo Lizzi
Sul Corriere della Sera del 21 giugno, il giornalista scrittore Corrado Stajano elogia «Le donne della repubblica»: il libro edito dal Mulino; le donne ritratte nel libro «simbolo dei momenti alti del Paese»; e le autrici che «le raccontano con amabilità , con rigore, senza retorica». Alla fine chiosa: «Forse con un po’ di invidia». Per inciso, il recensore si immalinconisce nel fare un paragone «tra la forza, la cultura, il coraggio di donne come Ada Gobetti, Camilla Ravera, Nilde Iotti, Tina Anselmi e le ministrine di oggi, insipide ma arroganti, attente, sembra, soprattutto al colore del loro tailleur».
In effetti, i gruppi dirigenti della cosiddetta prima repubblica furono selezionati da prove molto dure: il fascismo, la guerra, la resistenza. Costruirono e consolidarono grandi partiti di massa. Li rappresentarono e ne ricevettero sostegno. Le donne al vertice erano poche, affermate in ambienti a dominanza maschile, attraverso un percorso graduale, per arrivare all’apice anche oltre la maturità . Nilde Iotti fu eletta presidente della camera all’età di 59 anni. Esse erano legittimate dalle loro qualità individuali, dalla forza dei loro partiti, e dall’approvazione di uomini dall’autorità indiscussa.
Nel sistema politico attuale, vi sono partiti nuovi senza storia e partiti vecchi che cambiano di continuo nome e simbolo. Partiti liquidi, con un consenso fluido, e dirigenti transitori, giovani, sconosciuti, proiettati al vertice in modo almeno in apparenza fortuito, senza un’adeguata selezione e formazione. La dominanza maschile sopravvive, ma è ormai incrinata. Questo è un vantaggio per le donne, perché offre loro maggiori opportunità di inserimento, e al tempo stesso uno svantaggio, perché essere promossa dall’uomo leader non conferisce più una particolare autorità , può anzi avere persino un effetto sminuente. Il confronto con il passato, infatti, è impietoso soprattutto per gli uomini e ci si immalinconisce davvero nel paragonare Renzi, Di Maio, Salvini a De Gasperi, Togliatti, La Malfa, Pertini, Moro e Berlinguer.
Tuttavia, in politica accettiamo ancora un uomo mediocre, mentre guardiamo con scetticismo una donna senza doti eccezionali che ne giustifichino la presenza. Così ci pare più convincente il paragone tra le donne di oggi e quelle di ieri. Eppure Maria Elena Boschi e Marianna Madia, pur non all’altezza di Nilde Iotti o di Tina Anselmi, sono le esponenti più forti del governo, responsabili delle riforme più importanti. Si può essere in disaccordo con i loro progetti – e io lo sono – ma si può anche riconoscere loro abilità e competenza relativamente al personale politico maschile che le circonda.
Ad orientare in modo inferiorizzante il giudizio sulle donne in politica sono i media vecchi e nuovi, specie quando si concentrano sull’aspetto esteriore. Sono soprattutto loro a prestare attenzione a capigliature e abbigliamento, con frequenti commenti fuori luogo, battute avversarie enfatizzate, spesso a sfondo sessista, e ossessive immagini fotografiche. Pure il giornalismo di oggi ha le sue difficoltà a reggere il confronto con i grandi giornalisti del passato.
(www.libreriadelledonne.it, 8 luglio 2016)