11 Giugno 2016
il manifesto

Tutte ne parlano bene noi ci aspettiamo di più


Cari maschi, tocca a noi

Appello. Un appello contro una parte di noi stessi

La ripetizione sempre più diffusa di efferati femminicidi chiama ormai in causa gli uomini portatori, più o meno consapevolmente, di una cultura maschilista che li rende carnefici, oltre che “vittime””di tale cultura, ben al di là di una loro (consumata) solidarietà con la persona colpita dalla violenza.

L’uccisione o la mutilazione della fidanzata, moglie o compagna, avviene quasi sempre per motivi di gelosia o per rottura, da parte della donna, del patto di convivenza.

L’uomo forte e dominatore non può (o non è capace) di accettare quello che ritiene essere un “affronto”, così che la vendetta è la reazione “istintiva”: mia o di nessun altro. E’ così che da carnefice l’uomo diventa anch’egli vittima del suo stesso pensiero.

C’è un’asimmetria in questo rapporto: se a finire il rapporto è la donna, tale gesto di rottura assume il significato di tradimento, mentre se è l’uomo a rompere il rapporto d’affetto, allora esso viene considerato comprensibile e accettabile.

In un passato poi non così lontano ci sono stati processi dove come attenuante è stato addotto il fatto che la donna indossasse jeans aderenti o, comunque, abiti provocanti giustificando il comportamento violento con l’affermazione che “se l’era un po’ cercata”. Così come il “delitto d’onore” non è un’oscura pratica medioevale abbandonata centinaia di anni fa. Noi veniamo da questo passato recente.

I cambiamenti antropologici indotti dallo scatenamento degli istinti animali del neoliberismo, hanno accentuato l’individualismo proprietario soprattutto degli uomini. Ed è per questo che noi uomini dobbiamo dire a gran voce: not in my name, dove il my name oltre ad avere una valenza personale riguarda l’intero genere maschile. E questo vincendo quell’oscuro timore (mai esplicitato) di passare per “femminucce” che trasgrediscono il codice maschile.

Nessun uomo può dirsi innocente, perché c’è una connivenza complice in ciascuno di noi con il pensiero dell’individuo proprietario, della ostentazione della forza, dell’offesa non perdonabile. Quante volte noi stessi abbiamo fatto battute o raccontato a soli amici maschi barzellette denigratorie sul genere femminile? E quante volte pur non avendolo fatto direttamente abbiamo sfoderato un sorrisino complice a questi racconti stereotipi?

La diversità di genere è una ricchezza, ma può scivolare nello sciovinismo maschilista se a tale diversità viene assegnata una gerarchia, ruoli non paritari.

Non basta, per noi uomini, firmare appelli in difesa delle donne, partecipare sinceramente commossi a iniziative di solidarietà con loro. Bisognerebbe iniziare a firmare appelli anche contro quella parte di noi stessi che indulge a connivenze complici perché quei maschi assassini non sono alieni venuti da altri pianeti: sono l’esito drammatico di un pensiero che alberga oscuro nelle teste di noi uomini.

Hanno aderito:
Abati Velio, Bevilacqua Piero, Baioni Mauro, Bianchi Alessandro, Camagni Roberto, Cervellati Pier Luigi, Fiorentini Mario, Dignatici Paolo, Gambardella Alfonso, Indovina Francesco, Masulli Ignazio, Nebbia Giorgio, Ottolini Cesare, Quaini Massimo, Roggio Sandro, Salzano Edoardo, Saponaro Giuseppe, Scandurra Enzo, Siciliani de Cumis Nicola, Stucchi Silvano, Toscani Franco, Vannetiello Daniele, Viale Guido

(il manifesto, 11 giugno 2016)

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