13 Novembre 2020
Domani

Tutti maschi al comando dell’emergenza sanitaria

di Jonathan Bazzi


Ci avevo già pensato a inizio pandemia ma l’altro ieri mi è tornato in mente con un post di Instagram che annunciava la nuova puntata di un noto programma di approfondimento di Rai3: su dodici ospiti invitati a parlare di Covid undici erano uomini.

Avevo smesso di farci caso ma è così da febbraio: le voci emblematiche di questa emergenza – politici, virologi, amministratori – sono perlopiù maschili. Uomini, solo uomini quelli che contano. Avanti con gli anni, coi loro completi grigi o blu scuro, o in camice bianco, li vediamo salire sui loro scranni oppure in collegamento, esporsi, contraddirsi, azzuffarsi, in questo pandemonio infodemico che confonde autorevolezza ed egopatia.

L’emergenza parla con la voce del maschio: la conferma l’ho avuta cercando i membri dell’organo più citato in questi mesi, il comitato tecnico-scientifico: nei primi mesi i venti erano tutti uomini. Sono dovute arrivare le (sacrosante) proteste per far aggiungere, il 15 maggio con un’ordinanza integrativa, sei donne.

Mediaticamente le donne che vediamo intervenire sono in secondo piano, o altrove, in altri Stati, oppure finiscono – a torto o a ragione – a giocare il ruolo delle inette: il ciondolo a forma di virus, i banchi con le rotelle.

Eppure la storia ha consegnato (imposto) alle donne il ruolo della cura: sono loro quelle che si occupano della vita e della morte, che accudiscono, assistono. Mamme, infermiere, suore, badanti.

Sempre loro, solo che qua si tratta di decidere, governare. Si tratta di potere. Una tendenza confermata del resto anche nella sanità: le donne medico sono circa il 40 per cento, ma i primari donna negli ospedali raggiungono solo il 14 per cento (concentrate in pediatria e ginecologia).

Quando il gioco si fa duro arrivano i padri, e i nonni: scendono in campo i capifamiglia. Ci troviamo a pendere dalle loro labbra, reiteriamo le loro parole, ci abbeveriamo alla loro fonte, non proprio nutriente, del loro immaginario. Dove sono le donne?

Anche perché sappiamo che ci sono differenze di genere, innate e culturali, nella gestione delle emergenze: ce lo insegnano le neuroscienze, l’antropologia, la psicologia. Non voglio azzardarmi a dire che le donne farebbero meglio, ma una più equa rappresentanza ci avrebbe regalato di sicuro chance di visione in più.

La mancanza di prospettive e lo strapiombo comunicativo che hanno davanti forse arrivano anche da questa unilateralità, la schizofrenia tra autoritarismo, pavidità e decisioni casuali credo arrivino anche da qui.

La pandemia, tra le altre cose, è il reagente che disciolto nella nostra società sta rivelando ciò che dovrebbe già essere sotto i nostri occhi: il potere che mette in scena sé stesso scelto sempre per autoconservarsi.

Non è normale, non dovrebbe essere normale.

Non si tratta di mitizzare il femminile, ma di rilevare un vuoto, un’anormale normalità resa ancora più inquietante dal fatto che passi sotto silenzio. Questo Paese continua ad avere un gigantesco problema con la leadership femminile.


(Domani, 13 novembre 2020)

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