3 Maggio 2013

“Tutto parla di te”

di Alina Marazzi, Italia, 2013, 83 min.

Note di Laura Modini dopo aver visto l’ultimo film di Alina Marazzi.

Dico subito che non sono più giovane e che non ho mai avuto figli.
Detto questo, il film “Tutto parla di te” è riuscito a catturarmi, non immediatamente, ma insinuandosi dapprima nei miei pensieri per poi giungere al cuore, rievocando ricordi e racconti ascoltati nel corso degli anni di altre donne amiche che hanno vissuto l’esperienza della maternità.
Questo film non si ammanta di emozioni scalpitanti, non ci sono momenti catartici scoppianti di colori e suoni, non c’è pronto il melodrammone, no!
“In tutto parla di te” il clima è pacato, alle volte distaccato, come se la regista volesse tenere a freno emozioni incontrollabili.
Le immagini esteticamente pulite (ottima fotografia) non sono mai esplosive. Tutto è quasi normale, nel bello che accoglie il nostro occhio lasciandoci il tempo di ascoltare, guardando e seguendo una sofferenza muoversi viva nella suo quotidianità.
Dunque, vita normale di donne dei nostri giorni che si muovono tra desideri contrastanti: lavoro, amore, realizzazione artistica, famiglia. Giovani donne che sentono la loro vita piena bloccata, per un attimo come congelata da quell’evento magari anche desiderato  ma che spesso non le trova sufficientemente pronte per viverlo.
Donne che si trovano davanti a un’esperienza terribilmente sconosciuta che le risucchia totalmente e le fissa in un tempo che non concede tregua. “Un figlio è per sempre” dice una protagonista. E’ vero, l’amore per un figlio può non finire mai, ma in quel momento sembra che non finiranno mai anche i pianti notturni e l’accudimento costante.
Credo, che Alina Marazzi con questo ultimo film voglia chiudere un cerchio aperto con “Un’ora sola ti vorrei” dove ha raccontato la vita di sua madre terminata con un suicidio dopo la seconda gravidanza.
In “Tutto parla di te” invece si sofferma nella vita di tante giovani donne, nei loro sentimenti, nelle loro debolezze, la telecamera indugia sulle loro lacrime, sulla loro momentanea fragilità, sui loro gesti sconsolasti. Ma non eccede, è misurata, è in ascolto, quasi la regista voglia trovare una soluzione, una via di scampo.
E la trova mettendo a confronto la storia di una donna non più giovane che ha elaborato il suo dolore e che vuole liberarsene per sempre. Riflettendola in quella di una neo mamma in crisi: la relazione che si instaura tra le due donne diventa appagamento e liberazione di sensi di colpa che l’una provava verso la madre e l’altra prova verso la sua piccola creatura.
Per le due coprotagoniste, tanto diverse ma tanto unite, un dolore senza nome custodito nel cuore e nel cuore risolto.
E la trova! Ma ce la suggerisce con una delicata fantasia animata quasi non abbia il coraggio di dirla a piena voce, quasi sia così difficile ipotizzarla con corpi vivi e situazioni reali.
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