15 Novembre 2016
Il Quotidiano del Sud

Umberto Veronesi, l’uomo che visse nell’amore per la madre

di Franca Fortunato

 

Con Umberto Veronesi è morto l’uomo, il medico, il ricercatore che è vissuto nell’amore per la madre, amore come affetto profondo e smisurato verso sua madre Erminia e come gratitudine e riconoscenza per la donna che gli ha dato la vita e che, da adulto, l’ha orientato nel mondo, un mondo fatto di donne per lo più. È quanto emerge dal suo bellissimo libro Dell’amore e del dolore delle donne che scrisse nel 2010 e che dopo la sua morte assume il significato di un testamento spirituale. Nel libro ri-compone la sua vita tornando alle origini, alla sua relazione con la madre, che per la prima volta chiama per nome pubblicamente. «Si chiamava Erminia Verganti, è una delle rare volte che rendo pubblico il suo nome. Finora è stata solo mia madre… come se esistesse unicamente in quanto mamma. Forse vale per tutti i figli maschi: la donna che ci ha messo al mondo è un essere senza passato, una creatura asessuata… persino quando invecchia e muore. I figli spesso sono innamorati delle madri. Io lo sono stato sicuramente molto e non me ne vergogno>>. Parla con tenerezza e nostalgia di questa donna, rimasta vedova con cinque figli ancora piccoli e una figlia in arrivo, che ha “lottato a denti stretti” per donare loro ogni cosa, per farli studiare, a costo di grandi sacrifici, come hanno fatto molte madri della sua generazione. Parla di lei con dolcezza quando ricorda le fredde sere nella cascina in cui vivevano e lei «passava sulle lenzuola lo “scaldino”, una sorta di piccola pentola in rame in cui sotto la cenere, si nascondeva la brace ancora accesa». Una madre i cui insegnamenti lo hanno accompagnato per tutta la vita e hanno segnato il suo essere medico. «Amare ed essere amato senza prevaricazione e senza abuso: questo ha imparato il bambino che ero e che, una volta uomo, non ha avuto bisogno di uccidere psicologicamente sua madre per poter amare altre donne. E, per fortuna, nessuna delle donne che mi hanno amato ha sentito il bisogno di uccidere la madre dentro di me>>. È la madre che gli trasmette quell’“insaziabile curiosità e profondo amore per il sapere” che lui trasmetterà ai suoi figli. È lei che gli trasmette la libertà di pensiero, anche nella religione – lei donna cattolicissima e credente -, la tolleranza e la solidarietà, l’incapacità di odiare. <<Mia madre figura dolcissima mi ha insegnato ad amare incondizionatamente. E come medico so che non si possono curare i malati senza amarli di un amore «materno>>. Guai ad abbandonare l’aspetto «materno» della medicina, inteso come componente affettiva del rapporto medico-paziente. L’ho capito subito, quando ero ancora un giovane medico. Non esiste medicina senza solidarietà, né medicina senza amore. Tutto ciò mi viene da mia madre e dai suoi insegnamenti». Amore materno che ha nutrito la sua vita di uomo, di marito sposato ad una donna ebrea sopravvissuta con la sua famiglia ai campi di concentramento, di padre di sette figli, di medico e di scienziato delle donne, il cui dolore ha saputo ascoltare e condividere, traendo da loro, più che dalla classe medica, autorizzazione. Lo ha fatto quando ha trovato il coraggio di sperimentare la tecnica della chirurgia conservativa, mettendosi contro tutto il mondo medico internazionale. Lo ha fatto quando ha percorso la strada delle cure palliative – da ministro della Salute nel 2000 – e della liberalizzazione dei farmaci oppioidi antidolorifici. Sono le donne e il suo amore per loro che hanno fatto di Veronesi un buon senologo e un grande medico. «Non si diventa grandi medici se non si impara a comunicare con i pazienti. E sono cose, queste, che nessuna università e nessuna specializzazione insegna. Comunicare una diagnosi significa generare una sofferenza: da quel momento l’amore è parte integrante della cura. In questo senso io mi sento di poter dire che ho amato tutte le mie pazienti. E da tutte loro ho ricevuto amore». L’amore delle e per le donne, prima di tutte della e per la madre, è stata la bussola della sua vita e delle sue battaglie civili come per il testamento biologico, l’eutanasia, in difesa della legge 194 e contro la legge 40. Un uomo che si è detto ateo e non credente, ma che ha fatto dell’Amore, il Dio di sua madre, la bussola della sua vita. Le parole con cui chiude il suo libro, oggi assumono il senso del suo addio a tutte/i noi: «Con amore e gratitudine, da parte di un uomo che ha dedicato la sua vita all’ascolto del mondo femminile».

(Il Quotidiano del Sud, 15-11-2016)

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