di Anna Di Salvo
Mentre il 3 ottobre a Catania, all’interno della Palestra Lupo, scorrevano le immagini del film di Antonino Maggiore Lampedusa 2013, i giorni della tragedia sul naufragio di oltre 364 donne, bambini e uomini eritrei annegati il 3 ottobre 2013 a Lampedusa, nel cortile esterno della Palestra venivano rifocillati parecchi uomini e una donna, Aisote, provenienti da paesi del Corno d’Africa, prelevati insieme ad altri e altre nel mare antistante le coste libiche da una nave della missione Triton e sbarcati al porto di Catania, città che da poco tempo si è assunta il triste incarico di ospitare una delle maggiori sedi europee di Frontex.
Sulla stessa nave e su una banchina del porto erano avvenuti i riconoscimenti e date le recenti disposizioni i 30 uomini e Aisote non sono stati accettati come “richiedenti asilo” ma dichiarati “migranti economici” e per questo espulsi dall’Italia e diffidati a lasciare il Paese entro 8 giorni…
Ora un team di avvocate/i delle associazioni cittadine Rete antirazzista Catanese, La Città Felice, Borderline Sicilia e altre che hanno a cuore la permanenza in città di donne e uomini migranti, che sia di breve durata o che inciampi in tempi più lunghi… (questo per i migranti che vengono segregati al CARA di Mineo o negli “hot-spot” siciliani), si sta preoccupando di formulare i ricorsi legali per evitare l’espulsione di quegli uomini e dell’unica donna. Nel frattempo si sta provvedendo, così come avvenuto altre volte, a una raccolta di fondi, di indumenti e generi di prima necessità per gli uomini, ospitati per il momento dalla Moschea cittadina, mentre Aisote, partita dalla Sierra Leone e provata dalle violenze subite nell’arrivare sin qui, è stata accolta dalla “Locanda del passeggero”, un ostello protetto gestito dalla Caritas.
Da questa esperienza, vissuta alla luce di quella che non può più essere considerata un’emergenza, bensì una questione contingente, penso che per inoltrarsi nella questione dell’accoglienza e elaborarla al di là di pregiudizi e percezioni indotte, sia possibile l’esercizio e l’impiego di nuovi sensi e nuovi sguardi per rivolgerci alle genti venute da lontano. Uno slancio che io sento in me consiste nel provare a inquadrare donne e uomini migranti in una “cornice di bellezza”, disponendomi interiormente a volerli/le incontrare in carne e ossa, ascoltare storie dalle loro voci, ammirarli nei giovani volti e nel modo di abbigliarsi, apprezzare la volontà d’imparare le lingue degli altri e interagire con abitudini diverse… Può essere questa la postura buona per non patire i rimpianti di “un tempo che fu”, affrontare il cambio di civiltà nel quale siamo immerse e recepire nel profondo le ragioni di popoli obbligati ad abbandonare paesi e case per andare incontro a rischi, incognite e imprevisti.
Catania è città accogliente non certo per i provvedimenti mai presi dall’amministrazione comunale, dalla prefettura ecc., come ad esempio installare i bagni chimici alla stazione… Lo è per l’operato di alcuni e alcune che tengono aperti 24 ore luoghi dove è consentito ai migranti lavarsi, cambiarsi d’abito e nutrirsi, di coloro che stazionano alle partenze dei treni e dei bus per dare sostegno e riferimenti sicuri a chi continua a spostarsi e deve affrontare altre tappe prima di arrivare a destinazione. Noi facciamo che Catania sia accogliente anche andando all’esterno del CARA di Mineo a stringere mani, condividere abbracci, dare consigli e informazioni in varie lingue agli uomini e alle donne che incontriamo quando escono a passeggiare fuori dai cancelli del famigerato “Villaggio degli aranci”.
Catania 5 ottobre 2015
(Via Dogana 3, 8 ottobre 2015)