di Manuela Carmena, Ada Colau, Anne Hidalgo
sindache di Madrid, Barcellona, Parigi
Tra il 15 e il 20 ottobre 2016 a Quito (Ecuador), la conferenza Habitat III è stata convocata per dibattere su quale dev’essere l’agenda urbana per i prossimi anni. Tuttavia, ancora una volta, sono i rappresentanti degli stati, e non delle città, a decidere degli accordi che vanno a incidere sulla vita di più della metà degli abitanti del pianeta. Questa situazione è urtante, considerando che sarà indispensabile la collaborazione dei governi locali per lo svolgimento della nuova agenda.
Nel corso di questi anni, le nostre città hanno partecipato a diverse reti urbane e fori internazionali dove si è reso evidente che sono i governi locali ad avere più facilità a giungere ad accordi e generare risposte innovatrici rispetto ai problemi globali. Laddove gli stati sono in competizione, le città cooperano. Perciò, trascurare questa capacità di cooperazione e innovazione comporta tanto un deficit democratico quanto uno spreco di opportunità inspiegabili se non con l’inerzia del passato e la volontà dei governi nazionali di continuare a riservarsi il monopolio delle decisioni su scala internazionale.
Siamo di fronte a un cambiamento epocale in cui noi, le città, siamo allo stesso tempo parte del problema e della soluzione. Per esempio, se le aree urbane sono responsabili del 70% delle emissioni di gas effetto serra, siamo anche le principali promotrici di iniziative ambientali orientate a combattere il cambiamento climatico, dall’Agenda 21 Locale al sostegno alla ristrutturazione energetica e alla scommessa per una mobilità sostenibile. Il globale ormai non è pensabile senza il locale, né il locale senza il globale, perciò risulta incongruente relegare le città al ruolo di osservatrici nei grandi dibattiti globali. Gli organismi transnazionali, se vogliono essere efficaci, devono adattarsi a questa nuova realtà, aprire gli spazi di governanza e stabilire meccanismi per valutare e seguire l’agenda urbana a cui partecipino le città.
Gli stati hanno sempre più difficoltà a dare risposta alle domande della società civile e a far fronte alle sfide più importanti del nostro presente: l’incremento delle disuguaglianze sociospaziali, l’accelerazione del cambiamento climatico e gli spostamenti di popolazioni che fuggono da zone di guerra, miseria o disastri naturali. Invece, le città possono contare sulla conoscenza, il valore della prossimità e la forza dell’intelligenza collettiva per affrontare questi problemi globali. Di fatto, noi governi locali lo stiamo già facendo, anche se con risorse scarse e competenze mal definite. Nonostante il sottofinanziamento cronico che patiscono i governi locali, abbiamo abbondantemente dimostrato che le città possono fare di più con meno. Pertanto, la creazione di una nuova agenda urbana non può eludere il dibattito sul finanziamento degli enti locali. Gli stati dovrebbero assicurare risorse sufficienti perché le città possano svolgere le loro politiche in modo efficiente, destinando come minimo un 25% al finanziamento degli enti locali. A loro volta, i fondi globali ed europei dovrebbero permettere alle città di accedere ai meccanismi di finanziamento globale attualmente limitati agli stati.
Se nella sfera internazionale è sempre più necessario contare sulle città, nell’ambito europeo si tratta di un imperativo ineludibile. L’Europa è stata costruita attraverso le sue città, come attestano le reti di scambio di merci, conoscenze e persone che hanno modellato fino al presente la storia urbana del nostro continente. Il processo di integrazione europea, mediante il progressivo trasferimento della sovranità statale all’ambito comunitario, ha aperto la possibilità di approfondire questa cooperazione transnazionale tra le diverse città e ha favorito la creazione di reti urbane transnazionali, la cooperazione tra i governi locali e la creazione di una identità civile basata sui valori della democrazia, della diversità e del cosmopolitismo.
La creazione di una nuova agenda urbana europea deve incorporare quelle problematiche comuni condivise dalle città del continente: dai grandi problemi globali – come l’incremento delle disuguaglianze, il cambiamento climatico e la popolazione che si sposta in cerca di rifugio – all’impatto del turismo, alla gestione pubblica dell’acqua, alla transizione energetica e al sostegno a una economia produttiva, diversificata e responsabile.
Tuttavia, questo processo si trova oggi minacciato dalla crisi dell’Eurozona, che ha fatto traballare i principi del progetto europeo attraverso le politiche di tagli e austerità che erodono il welfare, le politiche di ricentralizzazione che limitano le risorse e le competenze degli enti substatali, e la restrizione del diritto d’asilo, che costituisce uno dei più gravi affronti ai nostri valori fondativi. Di fronte alle politiche di ripiegamento nazionale che fomentano la xenofobia e l’euroscetticismo, noi città europee abbiamo la responsabilità aggiuntiva di rafforzare la cooperazione intermunicipale e costituirci in bastioni di difesa dei principi democratici che diedero impulso al progetto europeo.
Manuela Carmena, Ada Colau, Anne Hidalgo
(Traduzione italiana di Clara Jourdan, www.libreriadelledonne.it, 6 febbraio 2017, del manifesto Una nueva agenda urbana. Para las ciudades europeas, www.madrid.es, 13/10/2016)