5 Dicembre 2014

“Una tazza di te”

“Dopo la presentazione di Sotto la giacaranda in fiore a Milano, alla Libreria delle donne, con gli interventi di Lia Cigarini, Maria Liguori, e la magnifica lettura di Anna Bonaiuto di alcune pagine di questo bel libro, scritto con intensità, passione e bellezza di stile da Luisa Cavaliere, abbiamo scoperto che alcuni brevi testi non vi avevano trovato posto per questioni strettamente editoriali. Fra diverse altre, brillano queste righe dedicate a una scrittrice anche da noi molto amata… abbiamo chiesto all’autrice se le regalava al nostro sito, la sua risposta è arrivata, e ora abbiamo un delicato inedito che vi offriamo in lettura con gioia. Grazie Luisa” Liliana Rampello

 

di Luisa Cavaliere

 

“Un’amica di quelle con la a maiuscola che rendono la vita anche, a tratti, una bella intensa, esperienza, mi ha detto a bassa voce perché nessuno dei nostri vicini di tavolo in una pizzeria dalle parti di piazza Carlo Terzo, potesse sentire, “io so chi è Elena Ferrante”. Sapeva, e, sa, che sarei disposta a molte cose per svelare il mistero che avvolge una delle autrici che più ho amato. Per tutta la durata di una meravigliosa pizza marinara (che, sono certa, ha inventato Dio senza delegare a nessuno neanche la disposizione dell’aglio o del pomodoro) ha continuato a fornirmi indizi per aiutarmi a condividere i suoi approdi di verità. Con noi un’altra giovane e appassionata lettrice de L’amica geniale che mi ha regalato appena uscito .
Indizi pieni di buon senso, ma, incapaci di portarmi alla soluzione di questo sapiente gioco a nascondino che Elena (Goffredo, Domenico, Giovanni?) Ferrante fa con chi la legge.
Un gioco che sembra voler mostrare l’oggettività della scrittura, il suo essere altro rispetto a chi la mette al mondo e che diventa, per questo, ininfluente, il suo dipendere esclusivamente da quel corpo a corpo, io/ tu, che ingaggia con chi la incontra e ne rimane irretito, prigioniero del suo incedere, tanto che, chi legge, diventa parte essenziale del racconto. E il racconto, esiste solo perché, e quando, c’è uno sguardo che lo percorre, un sentimento che lo assume come proprio, una passione che lo allontana dalla sua origine e lo declina nelle mille letture che lo scrutano… A che serve dire chi sono, raccontare i dettagli della mia vita (nome, cognome, indirizzo, luoghi, persone che abitano la mia vita) se poi mi moltiplico creata e ricreata, ogni volta, da chi mi legge?
Con questa “sottrazione” sapiente svela l’inutilità del mostrarsi in un ambiguo dosaggio di ritrosia e narcisismo che a tratti diventa la cifra essenziale di questa grande scrittrice.
A cosa mi sarebbe, per esempio, servito sapere la residenza di Elena Ferrante o il colore dei suoi capelli, mentre ne I giorni dell’abbandono (per me il più bello e il più atroce) venivo spinta nell’abisso delle contraddizioni e della solitudine che è la scomparsa dell’altro. Il dissolversi di chi usiamo come prova della nostra, a tratti, traballante identità?
Ma, nonostante e, alla faccia, questo “sapiente” ragionamento (trafitto da un milione di virgolette), confesso che non mi dispiacerebbe incontrare al Gambrinus, in un pomeriggio invernale, davanti ad una tazza di te, il sorriso di Elena e sentire dalla sua voce (che ho immaginato sempre come quella meravigliosa di Anna Bonaiuto) il racconto della sua infanzia o la ragione intima della sua scrittura.
Chiamerei al telefono con molta nonchalance le mie amiche, la detective e la lettrice, invitandole a raggiungermi a piazza Trieste e Trento per una pausa con Elena Ferrante. Immaginate la sorpresa? Dio, mettici una mano tu che tutto puoi!“

 

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