di Antonella Lumini
Maria Celeste Crostarosa la vera fondatrice dei redentoristi
L’aspetto straordinario della teologia crostarosiana consiste nel cogliere la forza dinamica dell’evento dell’Incarnazione
Di madre Maria Celeste sono pervenute numerose opere. Tra le più rilevanti l’Autobiografia, i Trattenimenti spirituali, i Gradi di orazione, le Meditazioni per il tempo di Avvento e di Natale, il Giardinetto spirituale. L’intensità della scrittura rivela il travaglio a cui è sottoposta l’umanità quando in essa irrompe lo Spirito. Le folgoranti rivelazioni, le terse visioni, sono accompagnate dalla sofferenza che scaturisce dal vedere limiti e resistenze. Il conflitto consuma, ma la beatitudine spirituale avvolge l’anima rendendo in tutto partecipe il corpo. Il piano carnale non viene tenuto fuori, ma bruciato nell’ardore dell’amore divino, portato verso il sublime. Nell’esperienza mistica femminile, e in particolare nella Crostarosa, si sente questa immensa impresa di rigenerazione che «opera» lo Spirito Santo sul piano creaturale assumendo il corpo nella dinamica di trasformazione che lo prosciuga e al contempo lo vivifica, lo chiama a morire e insieme a risorgere. Lo «deifica», facendolo divenire «viva memoria» della sacra umanità del Verbo, presenza visibile del suo amore. Ugualmente nel sacramento eucaristico il divino amore di Cristo si fa cibo «sostanziale» al fine di trasformare «l’uomo in Dio». Questa azione redentiva mossa dallo Spirito santo è quanto Madre Celeste chiama «opera»: grandiosa gestazione che si fa carico di guarire, salvare, far rinascere a nuova vita. Sottile lavoro di ritessitura attraverso cui si incarna la spinta generatrice mossa in eterno dal Padre.
L’originale teologia crostarosiana mette in luce due piani: la generazione eterna del Verbo, «principio senza mai esser principiato», e la natura umana chiamata ad aprirsi per lasciarsi fecondare. L’Incarnazione del Verbo viene pertanto individuata come il punto in cui i due piani convergono. La «stupenda operazione divina» si concretizza in Maria. «La tua Signora Maria riceve un adombramento divino di chiarissimo splendore, ove le si manifestano le tre divine persone nell’unità dell’essenza, ove penetra per breve momento quell’incomprensibile e purissimo atto della generazione del Verbo nel seno del Padre». La partecipazione all’essenza divina, immette nel mistero trinitario. Rivela l’intrinseco movimento di amore che unisce il Padre al Figlio. L’amore che in eterno opera “amando”, è lo Spirito Santo. «Di questa beatissima ed eterna generazione» Maria toccò la pienezza nell’attimo in cui lo Spirito Santo «l’adombrò, la ricoprì, l’assorbì e le dichiarò non solo l’opera dell’umana Redenzione, ma ancora l’Unità e Trinità delle Persone divine». Penetrando il mistero dell’Incarnazione l’anima a sua volta ne partecipa: «vedi anima mia come lo Spirito Santo (…) Spirito di amore purissimo, in un momento genera l’Umanità del Verbo nel seno di Maria sua sposa e in essa unisce l’umana natura con l’eterno Dio». La grande intuizione teologica di Madre Celeste consiste nel comprendere che l’«opera» straordinaria che si realizza in Maria, si estende a tutte le anime che la contemplano perché eterna è la generazione del Verbo. Tema decisamente presente in Meister Eckhart.
Comprendendo che l’«opera» è sempre in atto, Madre Maria Celeste si spinge oltre il piano devozionale. Individua nell’evento dell’incarnazione la forza dinamica dell’azione salvifica stessa. L’annuncio evangelico è colto dunque in questa luce. La Madre divinizzata è dunque la natura umana di Maria in cui la divina maternità si incarna portando a compimento ogni potenzialità dell’atto creativo. Silenzio, nascondimento, umiltà, obbedienza, pazienza, fermezza, sono le virtù dell’anima annichilata che custodisce i doni di Dio senza appropriarsene, lasciando che l’«opera» agisca libera da resistenze. Maria diviene quindi madre e maestra di tutte le anime. La Crostarosa descrive questo stato di totale passività (che implica la più intensa attività) con l’immagine della gestazione: «come un bambino che non è uscito dal seno di sua madre il quale non ha potere per operare cosa alcuna, ma solo sua madre è quella che fa il tutto». E ancora: «O soavità eterna, mi pare che tu sia per me più di una cara madre, amante e sollecita verso di me ben più che la madre che porta attaccato alle poppe il suo piccolo figliolino». Lo Spirito produce questa trasformazione nello stato di cedimento in cui è possibile «l’interna mortificazione in tutte le potenze spirituali». L’«opera» dunque non forza, è paziente, sovrabbondante, lascia libera la creatura. È un’opera materna, attende che maturino le condizioni.
(Osservatore Romano, 15 giugno 2016)