Alessandra Pigliaru
Cartografie. «Tutto sulla speranza» della filosofa australiana Mary Zournazi. Considerata un gesto politico radicale, questa raccolta di saggi mette in campo riflessioni e punti di vista su una categoria sempre più relegata nell’ambito della metafisica.
«Quando non abbiamo più speranza, abbiamo anche poco spazio per riflettere e impegnarci». È ciò che si sostiene nell’ottimo volume di Mary Zournazi dal titolo Hope – New Philosophies for Change (Pluto Press Australia, 2002) ora tradotto in Italia con il titolo Tutto sulla speranza. Nuove filosofie per il cambiamento (Moretti&Vitali, pp. 283, euro 22). Il libro è composto da dodici conversazioni che la filosofa australiana ha intrattenuto con scrittori, scrittrici, filosofi e filosofe in tante parti del mondo. Il testo, tradotto da Annamaria Arancio con la revisione di Marta Alberti, Laura Maltini Lepetit e Silvia Zanolla, è il primo prezioso tassello che inaugura la collana diretta da Annarosa Buttarelli, «Pensiero e pratiche di trasformazione». Già accolto positivamente dal dibattito scientifico internazionale, Slavoj Žižek lo ha definito un libro di cui c’è bisogno come il pane quotidiano perché finalmente mostra la relazione «tra speranza metafisica e politica rivoluzionaria». Si comincia appunto da questo rilievo per domandarsi in che modo una riflessione sulla speranza possa essere utile in un tempo apparentemente così disperato. E in che modo possa essere una leva efficace per trasformare il presente.
In cerca della felicità
Zournazi non cerca facili soluzioni, pone piuttosto domande intelligenti che sollecitano sapientemente il senso critico di lettori e lettrici. È appunto certa che la speranza sia lo spartiacque attraverso cui poter decifrare il mondo perché ne sa descrivere la ricaduta etica. Prima di farne una filosofia, l’idea di speranza si colloca nella storia del pensiero e della politica fino a esprimere la temperie socio-culturale in cui viviamo. Se restiamo nei pressi del tardo capitalismo, la speranza e la stessa ricerca della felicità sembrano condizionate dall’ossessione securitaria di unità nazionale, successo economico ed esclusione delle differenze. Nella propaganda populista delle destre, in particolare, la speranza fa parte della politica della colpevolezza e serve per sedare risentimento ed esasperazione. Vien da sé che per costruire una filosofia e una pratica della speranza, se ne dovranno indagare le implicazioni tenendo conto della contemporaneità in cui viviamo e delle manipolazioni che in suo nome vengono prodotte.
Tutto sulla speranza è uno di quei testi su cui vale la pena tornare più volte, talmente sono ricchi i riferimenti così come le analisi: globalizzazione, classi sociali, pratiche politiche e di esistenza, conflitto, intelligenza artificiale, ma anche gioia, generosità e gratitudine, solo per citarne alcuni. Nei dialoghi imbastiti si potranno leggere nomi come quello di Bloch, Marx, Bachtin, Benjamin. Mary Zournazi però rilancia. Propone contaminazioni inaspettate che si mescolano al tema principale per aprirsi a nuove ipotesi e geografie filosofiche molto convincenti. Sarà anche perché ha condotto le conversazioni coinvolgendo dodici tra le menti più lucide nel panorama mondiale, che spaziando e sconfinando sia dal tema che dalla cosiddetta disciplina di appartenenza.
Il libro si suddivide in tre parti: la prima si concentra sulle idee di speranza da un punto di vista personale, filosofico e politico. A discuterne sono Alphonso Lingis, Michael Taussig, Julia Kristeva e Nikos Papastergiadis. Se Lingis si interroga sul rapporto tra speranza, coraggio e «ridere in faccia alla morte», è Taussig che immagina la speranza come un altro dei nostri sensi, «una parte anatomica, non in senso fisico ma allegorico». Kristeva traccia invece l’interessante legame tra speranza e cura, per fronteggiare la distruzione psichica. In sottofondo c’è il discorso sulla scrittura e il linguaggio che viene messo a tema ripetutamente. Lo fa Papastergiadis, nel nodo speranza-esilio, ma anche Gayatri Chakravorty Spivak. Come tutti gli altri interlocutori, anche lei si sposta su numerosi aspetti dell’esistere. «Giungere alla crisi è un momento in cui è possibile agire» dove «qualcosa di ereditario si capovolge e si assetta nel suo contrario».
La paralisi dell’immaginario
È in questo passaggio che per la femminista si può parlare di «un salto di speranza». La qualità di questa che si potrebbe definire una pratica della speranza, è per Spivak assai articolata e corrisponde al suo radicamento e attivismo in più di una questione. Dall’istruzione e la formazione nei piccoli villaggi indiani alla rivisitazione delle strutture democratiche. Più orientata su una politica della speranza è infatti la seconda parte del libro. Dopo gli scambi con Cristos Tsiolkas, le risposte di Chantal Mouffe e Ernesto Laclau sembra precisino meglio il pericolo di una deriva fin troppo ottimistica legata alla speranza. Ciò non significa la paralisi dell’immaginario sociale. Come da tempo sostengono, le democrazie pluraliste radicali sono da intendersi come progetti per cui valga la pena lottare. Chiaramente non si tratta di una procedura conciliatoria del buon governo bensì dell’impossibilità di compimento totale della democrazia insieme alla costruzione di un soggetto dotato di «passioni» che da molto vicino riguardano anche la speranza. Altrettanto forti sono le riflessioni di Ghassan Hage, così come quelle di Michel Serres, Brian Massumi e Isabelle Stengers che compongono l’ultima parte del libro.
Nell’epoca che abitiamo, tracciare una linea sulla verità della speranza può contribuire alla costruzione di un senso critico e politico del futuro. La parola chiave è infatti proprio questa: futuro. Non per sollevarsi pigramente dalle rovine in cui gravitiamo ma, secondo Zournazi, per dare corpo ad un progetto politico che non sia slogan del capitalismo e che si configuri come ripensamento della giustizia economico-sociale in un’epoca post-marxista. Attraverso alcune considerazioni sul pensiero rivoluzionario, le conversazioni affrontate da Zournazi sono anche spunti efficaci per la sinistra. O forse sarebbe meglio dire di auspicio, prima di aver stabilito con precisione cosa si intenda per «sinistra» in ogni parte del mondo.