5 Aprile 2013

Usare tutti i mezzi per comunicare

di Massimo Rimpici

 

Nella vostra richiesta di aiuto, in parte, c’è già una prima risposta

quando affermate che la scommessa sta nell’ambizione di intrecciare reale e

virtuale.

La tecnologia mette a disposizione delle relazioni degli strumenti

aggiuntivi rispetto a quelli tradizionali, perché non approfittarne.

L’importante è di non pensare che possano essere sostitutivi della

relazione in presenza o di sottovalutarne “le insidie” come correttamente

sottolineate nel messaggio.

Io parto dalle relazioni che ho, che coltivo quotidianamente con uomini e

con donne, come si fa a non cogliere la ricchezza dello sguardo in

presenza, le emozioni del detto qui ed ora, le espressioni del viso, della

bocca, della voce: elementi insostituibili della comunicazione orale.

Anche un gesto, una carezza, un abbraccio possono far parte della

comunicazione in presenza, per non parlare dell’energia che si crea durante

una discussione di gruppo o duale.

Il virtuale però, così come la scrittura, essendo meno diretto, offre

un’opportunità in più: la riflessione mediata dal tempo, la sedimentazione

dell’invenzione creativa prodotta dal pensiero, dal desiderio di

espressione, di comunicazione.

Questa vostra richiesta di aiuto mi ha subito ricondotto ad un testo, che

casualmente presentate proprio oggi a Milano presso l’Alveare e che ho

letto di recente, dove, in tema di autocoscienza, un gruppo di giovani

donne dell’Università di Verona si sono poste (quasi, ma non solo) lo

stesso dilemma: è possibile fare autocoscienza a distanza, attraverso il

web e/o la scrittura, le mail? E’ possibile, cioè essere in relazione a

distanza?

“La distanza geografica – scrivono le studentesse nella presentazione del

libro FRAMMENTI DI AUTOCOSCIENZA, del Collettivo Femminista Benazir, Aracne

editrice 2012), l’impossibilità di essere sempre fisicamente insieme, la

comodità della mail, l’urgenza di dire, raccontare, chiedere tra un

incontro e il successivo, hanno fatto sì che le nostre relazioni si siano

nutrite in buona parte di parola scritta anziché orale…”.

In realtà il libro, oltre alla messa in parola di questo percorso di

autocoscienza femminista, è anche un puntuale e scrupoloso diario dei

dubbi, delle difficoltà, delle perplessità (principalmente nella sua prima

parte) relative all’uso della scrittura come strumento corretto di

comunicazione nelle relazioni, soprattutto in un percorso di autocoscienza.

  “Se parlandone con voi durante gli incontri l’imbarazzo piano piano

svanisce, quando arriva il momento di scrivere, ecco riapparire tutti i

tabù, le paure, le vergogne che schiacciano come macigni il mio rapporto

con il corpo, con la sessualità”, sostiene una delle protagoniste.

  Scrivendosi esprimono anche la paura di essere…fraintese, oppure

invitano a “…cercare di capire le poche parole…”(Virginia).

“Lo scrivere lo vedo come un momento di autocoscienza con me stessa –

sostiene Elena – e questo lo dico – aggiunge – perché non è vero che ti

metti lì da sola e scrivi”

Insomma lo scrivere in una relazione è uno sforzo aggiuntivo, “speciale” ma

che non va mai sostituito con la parola detta* *sguardo nello sguardo.

Certo, alcune cose scritte in un rapporto di relazione non sempre poi

vengono riproposte, rianalizzate in presenza, ovvio, restano scritte e

basta, ma quanto “lavoro” hanno prodotto dentro?!

“Essere in relazione vuol dire anche conoscersi di più, sottolinea

un’altra”, ma quanta ricchezza c’è, aggiungo io, nel fermarsi a meditare, a

metabolizzare e tradurre in scrittura “gli spazi di cielo infinito” che la

relazione ha prodotto sia in presenza che via web.

E’ la prima volta che vi scrivo, anche se vi seguo da tanti anni. Quanta

incertezza, quanto timore nel decidermi: solo un amore grandissimo ed una

infinita gratitudine può rimuovere tutti gli indugi.

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